Palermo

Giovedì 09 Gennaio 2025

Il delitto Mattarella e le due piste: tenere distinte la lettura storica e le indagini penali

Non è stata un’Epifania come le altre quella palermitana, in particolare non è stata una commemorazione dell’omicidio di Piersanti Mattarella rituale come le altre. Proprio in questi giorni, infatti, sono state rivelate alcune asserite novità giudiziarie intorno alle indagini sugli esecutori di quel terribile evento criminoso che non hanno trovato alcuna smentita da parte delle autorità requirenti, almeno per il momento. Secondo tali indiscrezioni, la coppia di killer che uccise il presidente della Regione Siciliana era composta da due giovani mafiosi di rango, Madonia e Lucchese, spietati criminali da decenni in galera per scontare diversi ergastoli per altri omicidi di «eccellenti». Vedremo, quando avremo notizie ufficiali e non riservate a pochi, che tipo di supporti probatori, evidentemente inediti, hanno spinto la Procura di Palermo a iscrivere i due criminali nel registro degli indagati. Quel che vale la pena segnalare, rebus sic stantibus, è un fenomeno davvero singolare a cui si sta assistendo. Sembra, infatti, che molti commentatori, alcuni autorevoli altri meno, sentano il bisogno di far sapere al mondo che le loro tesi adesso trovano finalmente riscontro. «L’avevamo detto che non era solo mafia, ma ben altro», ad esempio, si è detto, parola più parola meno. Il che è ragionevole sostenerlo, ma forse non proprio in questo momento in cui si scopre che le mani insanguinate sarebbero mafiose, seppur «in guanti gialli», per usare una celebre espressione degli inizi del ’900 impiegata dal grande politologo Gaetano Mosca per spiegare agli italiani che la mafia non era una semplice espressione di criminalità comune, ma un complesso fenomeno di potere di natura interclassista. Si trattava, del resto, di dare un senso compiuto al primo omicidio eccellente della martoriata storia siciliana, e palermitana soprattutto: come accontentarsi di due sicari termitani quali esecutori e perfino mandanti dell’omicidio Notarbartolo, stimatissimo e alto esponente della classe dirigente italiana neo-unitaria nell’isola? Ma torniamo a Piersanti Mattarella. Qualcuno - non pregiudizialmente interessato a sostenere una tesi o un’altra, ivi compresi depistaggi funzionali al sistema di potere dell’epoca - ha mai forse creduto all’idea semplicista che far fuori il giovane esponente democristiano tornasse utile solo a Cosa nostra? E che, quindi, con ogni probabilità, quando i vertici supremi della mafia siciliana hanno deciso di ucciderlo (secondo quanto accertato dalle sentenze definitive che hanno condannato numerosi capo-mafia), non avessero piena consapevolezza che l’operazione omicidiaria trovasse il consenso se non il sostegno di quei pezzi di società più esposti nel tenere in piedi un sistema di governo che si reggeva sulla partecipazione alla cosa pubblica delle formazioni mafiose, sia nella raccolta del consenso elettorale sia nell’accaparramento e spartizione delle risorse pubbliche? Insomma, da tempo siamo nelle condizioni di dire che l’eliminazione di Mattarella giovava agli interessi politico-mafiosi ed economico-imprenditoriali che l’azione del democristiano metteva a rischio; che giovava a chi vedeva con il fumo negli occhi una prosecuzione in terra siciliana della linea politica tenuta a livello nazionale del suo mentore Aldo Moro; che giovava al mantenimento dei rapporti di forza tra centro e periferia, tra «bassa e alta mafia», in quell’universo complesso rappresentato dalla Democrazia cristiana, partito-stato impegnato anche a garantire un posizionamento rassicurante dell’Italia nello scenario bipolare della guerra fredda. Tutto questo lo potevamo sostenere prima delle recenti indiscrezioni giudiziarie che né confermano né smentiscono un tal tipo di valutazioni a sfondo storico-politico. E possiamo sostenerlo anche oggi, dopo questa nostra Epifania. Ciò va detto per evitare che per l’ennesima volta chi apre bocca sull’argomento, guadagnando spazi mediatici spesso non meritati, non riesca a tenere distinte le due piste ricostruttive di quell’evento, l’una prettamente penalistica, che deve accertare l’identità di esecutori e mandanti; l’altra storico-politica, che dovrebbe fornire quadri esplicativi dei contesti in cui maturarono quegli eventi, senza l’ossessione di esibire la pistola fumante, semplicemente perché non esiste. Beninteso, le due piste possono (anzi: devono) intrecciarsi, ma solo nel senso che l’una può aiutare l’altra a comprendere meglio situazioni complesse che altrimenti sfuggirebbero al metodo solo storiografico o solo giudiziario. Ma niente di più. E soprattutto un processo penale, di regola, non è in grado di spiegare (non deve) come sono andate le cose a un livello ben più articolato rispetto a una singola vicenda delittuosa. E l’indagine storico politica non può (non deve) additare singoli colpevoli di reati specifici e piuttosto formulare ipotesi ragionevoli ed essenzialmente discutibili nel dibattito pubblico. Ebbene, si è anche data notizia di un nuovo docufilm sulla vicenda Mattarella, firmato da autorevoli giornalisti, e il trailer promette un ottimo prodotto cinematografico: speriamo, però, che lo si vada a vedere con lo spirito critico che occorre in questi casi e senza l’idea che finalmente giustizia e verità trionferanno a colpi di cinepresa.

leggi l'articolo completo