Non ci piace il cinismo del «lo avevamo detto». Tantomeno ci piace recitare il ruolo delle Cassandre che si dilettano a pronosticare sciagure. Ma c'è qualcuno, nella Palermo delle strade sfasciate, che non temeva che prima o poi sarebbe accaduto? È accaduto. Due mesi fa questo giornale lanciava una pressante campagna – poco gradita, lo comprendiamo, all'amministrazione comunale – contro lo sfacelo delle strade abbandonate al loro destino da almeno vent'anni di assoluto e totale disimpegno. Figlio di carenze strutturali e di difetti organizzativi, di scellerate scelte di priorità e di inesistente programmazione, di casse vuote e di cervelli pigri. Palermo finisce in buca, titolavamo in prima pagina. E cominciavamo un quotidiano e prolungato resoconto del disastro, condito da notizie di incidenti, auto distrutte, pedoni, ciclisti e motociclisti a gambe all'aria, ossa rotte e straordinari nei pronto soccorso (come se questi non avessero già il loro bel da fare). Il tutto mentre si metteva faticosamente in moto la complessa e po' arzigogolata macchina di recupero per turare le falle. Quelle dell'annoso ed ereditato disinteresse, prima ancora che quelle sull'asfalto che fu. Ieri, proprio per evitare di finire in buca col suo scooter, un uomo è morto. A casa lo aspettavano moglie e quattro figli, la più piccola di soli quattro mesi. Non lo vedranno mai più. Detto che ogni dettaglio della dinamica va adeguatamente accertato (correva o no? era distratto o no? casco o no?), resta l'incontrovertibile certezza di quella voragine nel pieno di viale Regione Siciliana, cioè in assoluto la strada più transitata e battuta dell'intero capoluogo. Qualcuno giura che un buco o un avvallamento fosse lì già da tre giorni. Senza che nessuno si fosse preso la briga di turarlo, anche solo alla bell'e meglio. Se non ci fosse stato, non sarebbe stato necessario sterzare all'improvviso per scansarla. E non staremmo qui a parlare di un morto. I vigili sono più cauti. Ma la correlazione appare molto plausibile. Non ci iscriviamo allo sbrigativo coro del dagli al sindaco, all'assessore, ai vigili, alla Rap, all'intero apparato municipale. Saranno altri e ben più titolati organi ad accertare colpe e responsabilità. E, questo sì, lo auspichiamo fermamente. Questa amministrazione si è ritrovata ad ereditare una città immersa in una prolungata regressione. Civica e civile. Va ascritto a suo merito l'aver cancellato – in pochi mesi – l'ignominia delle mille e più bare insepolte ai Rotoli. Ha faticosamente impiegato circa un anno e mezzo a rimettere in sesto i conti di un bilancio sulle soglie del dissesto. Si trova a gestire, non senza qualche tentennamento di troppo, l'atavica grana dei rifiuti strabordanti. Le condizioni post-atomiche delle strade urbane sembrerebbero finalmente aver acceso un lumicino nel buio di una programmazione appena partita, con belle parole e pochi denari. E però facciamo fatica a digerire la logica di alcune scelte. Se quella orrenda striscia di bitume nero utilizzata per coprire sommariamente la trincea scavata sui marciapiedi di via Libertà è ormai iconica, non si comprende perché tanta fretta nell’intervenire in strade messe meno peggio di altre (via Wagner, via Villaermosa, via Volturno) o in più che dignitose condizioni (via Aquileia) o ancora non battutissime dal traffico quotidiano (via Castelforte), mentre assi fondamentali e ad alto tasso di pericolo (la stessa ex circonvallazione o via Crispi, solo per citarne un paio) marciscono e implodono in crateri da mine antiuomo di bellica memoria. Dicono che è la conseguenza di micro appalti distonici, uno parte primo, un altro è ancora in folle. Mah. Qualcuno (addetto, addettissimo, ai lavori) ci ha perfino raccontato la barzelletta che la colpa è anche della (sic!) pioggia. C’è poco da ridere, purtroppo. Anzi, da ieri non c’è proprio più niente da ridere. Qui sotto la prima pagina del Giornale di Sicilia del 19 maggio 2024, nella quale si annunciava la campagna sulle buche