Certo, Palermo non è il Bronx. E però a chi ci tiene a sottolinearlo un giretto nel Bronx di oggi lo consigliamo vivamente, giusto per non cavalcare stereotipi e scoprire piuttosto come si può trasformare un quartiere ghetto e criminale in una delle enclavi più cool e alla moda di New York. Certo, Palermo non occupa i primi posti nelle analisi di settore sulle città più insicure del Bel Paese. E però bisognerebbe sondare l'anima dei parametri con cui queste classifiche vengono stilate, senza inchinarsi supinamente alla logica asettica di sua maestà l'algoritmo. Ma vogliamo davvero continuare a crogiolarci nella comfort zone di queste verità virtuali? O piuttosto è giunto il momento di accorgerci finalmente che l'alzo zero della tensione, del caos, del pericolo, della paura ha già oltrepassato la soglia del dramma e dilaga senza rotta nel deserto della tragedia? Otto anni sono trascorsi dalla morte di Aldo Naro, ammazzato di botte nella discoteca in cui festeggiava la laurea in Medicina al culmine di una maxi rissa nata, pare, da un cappellino scomparso. Da allora Palermo è progressivamente e inesorabilmente precipitata in una sorta di Babilonia del divertimento. Locali finto trendy e pub-bettole spuntati ovunque, senza criterio e senza costrutto. Intere strade e piazze trasformate in chiassosi e sconclusionati suk ad alto tasso alcolico, in cui il residente è fastidioso ostaggio di rumori, odori, sapori e umori poco conciliabili col quieto vivere. Torme qua, branchi là, si beve, si fa tardi, si fa casino e spesso (ci) si fa danno. Certo, c'è l'esercente ligio alle regole e c'è il cliente che ha solo voglia di qualche ora di spensierata leggerezza, ma entrambi stanno ormai annegando nella melma della malamovida: il primo deve abbozzare e magari deve per questo rivedere al ribasso i propri fatturati, a vantaggio degli squali del cicchetto; il secondo deve pensarci su un attimo e magari defilarsi ai margini dei frizzi e lazzi delle notti perdute. Le risse, gli stupri, le rapine, ancora le risse, gli agguati, altre risse, i colpi di pistole, le spedizioni punitive, risse, risse e ancora risse. E ora c'è scappato il morto. Esattamente cinque giorni fa su queste righe Riccardo Arena – commentando il bailamme sedato in extremis nella stessa discoteca della tragedia della notte scorsa – firmava il nostro preoccupato monito sull'escalation della tensione nelle notti palermitane, correlata a una certa attendista passività di maniera rispetto all'esigenza di contromisure vere, concrete, tangibili e immediate. «Fino a quando non succederà qualcosa di più grave: speriamo di no, ma da noi usa fare così», scrivevamo. È successo. Ed eccoci a inanellare comunicati di censure, reazioni sdegnate, solidarietà di facciata, analisi da salotto e promesse da giorno dopo. Nel giro di pochi giorni abbiamo intervistato il prefetto, il questore, il comandante dei carabinieri, il comandante della polizia municipale. Tutti in coro a sancire l'esigenza di controlli più serrati, tolleranza zero, rispetto delle regole. Già, le regole. Non ci accodiamo al pathos emotivo di chi invoca l'uso dell'esercito per vigilare su consolle e gin-tonic. Sarebbe davvero una roba surreale, ben oltre le soglie di uno stato di polizia: un soldato in mimetica col mitra in mano sull'uscio di ogni pub o discoteca? Ma per carità. Il problema non sono i controlli, o comunque non lo sono quando questi tutto sommato ci sono. E negli ultimi giorni è innegabile che le forze dell'ordine uno sforzo in più lo abbiano prodotto, spartendosi l'improbo compito di slalomeggiare fra baby gang in libera uscita, vetrine sfondate in pieno centro, rapine, furti, scazzottate, pistolettate. Mentre resistiamo ad accettare come attendibili i foschi teoremi di chi sottolinea che questo clima da sordida Gomorra siciliana (basta vedere cosa ci sarebbe dietro l'omicidio di Rosolino Celesia) può essere effetto di una mafia sempre più debole e non più capace quindi di controllare – a modo suo – il territorio. Preferiamo di gran lunga pensare che il nodo vero sia un articolato ed efficace complesso di regole. Che nella Babilonia della movida palermitana non esistono. Questa città, nella sua componente ludica e commerciale, è stata letteralmente aggredita e violentata dalla logica redditizia del profitto a basso costo. Citare l'insostenibile caso di via Maqueda è ormai sterile: l'orgoglio di chi l'ha sottratta alle auto è stato sotterrato dall'incapacità (o volontà espressamente contraria) di chi avrebbe dovuto difenderla dal rischio opposto. Che si è puntualmente concretizzato: un involuto e invivibile accrocchio di deleterio street food. E poi la Vucciria, l'Olivella, piazza Marina, via Paternostro, via La Lumia. Eccola, cosa è diventata la Palermo del popolo della notte: brutta, sporca, cattiva. E ora assassina. Ai politici dei comunicati di sdegno e censura chiediamo un doveroso e indifferibile scatto di civico orgoglio: il regolamento che giace in consiglio comunale e che dovrebbe codificare orari e comportamenti, limiti e sanzioni, non riesce a emergere dalle secche degli interessi di parte (tanti esercenti più tanti avventori, uguale tantissimi elettori). Bisogna una volta per tutte mettere da parte calcoli di - è il caso di dirlo – bottega. Ad oggi nessuno è esente da colpe. Neanche chi, nel maldestro tentativo di spolverare via da quella delibera la polvere dell'attendismo, decide di indossare i panni del bullo istituzionale e trasforma l'aula municipale in un saloon da far west, saltando sui tavoli in una sua personale interpretazione distorta e perversa dell'attimo fuggente di cinematografica memoria. Non sognandosi neanche di chiedere scusa dopo, a mente fredda. Anzi incassando il corporativo sostegno, alle soglie del plauso, dei compari di brigata (o di partito). E questo non succede neanche nel Bronx.