Lo spoil system, dopo un decennio di establishment burocratico, sarà fisiologico e robusto. Il confronto per la formazione della giunta porrà fatalmente fine alla labile tregua che ha portato alla complicata sintesi di coalizione sulla sua candidatura. Ma dagli atti ai fatti Roberto Lagalla dovrà passare presto. Molto presto. Con pochi soldi. E pochissimo tempo. Con i rifiuti che tornano a bruciare sulle strade. E le bare che tornano a scoppiare ai Rotoli. Con un dissesto da evitare senza mettere le mani nelle tasche dei palermitani. E un Festino da riesumare dalle secche dei divieti anti Covid. Mentre alla Regione scricchiolano per la prima volta le certezze sulla candidatura bis del suo ex presidente, il già assessore regionale e nuovo sindaco di Palermo deve subito sbracciarsi e pronunciarsi sulle immediate priorità, riponendo ben presto nel cassetto la fascia tricolore ieri indossata con l'inevitabile impiccio del neofita e che oggi lo vestirà a piazza XIII Vittime per l'annunciato omaggio al monumento dedicato alle vittime di mafia. La simbologia del primo gesto ufficiale che vuole spazzare via ombre residuali issatesi sul voto del 12 giugno deve lasciare subito dopo spazio alla linea d'azione, che più di ogni altra cosa traccerà la rotta di governo della città capoluogo di regione. Ci ha tenuto ieri Lagalla, al di là delle dichiarazioni di prammatica, a sottolineare che non intende fare il Don Chisciotte della situazione. Ma se poco aiuto potrà aspettarsi da chi questa città l'ha governata per dieci anni e ora passa all’opposizione (Orlando ieri non si è fatto vedere, per non parlare di uno sgradevole e intempestivo post su Facebook dell’ex assessore Catania), tanto dovrà chiedere alle forze di centrodestra, che comunque il conto glielo presenteranno senza remore: per il fatto che il suo consenso personale sia stato nettamente inferiore rispetto a quello raggranellato dalle nove liste; per la necessità di fare quadrare gli equilibri fra giunta e Consiglio. E su quest'ultimo punto la partita è complessa. Un esempio su tutti: Francesco Cascio si aspetta la nomina a vicesindaco, Giulio Tantillo quella a presidente di Sala delle Lapidi. Essendo entrambi di Forza Italia, qualcuno dovrà mollare. E non è che un caso fra tanti. Sgomita anche FdI e sgomita la Lega (pur ridimensionata), c'è da capire il ruolo dei renziani e da stabilire il peso degli «scomodi» cuffariani. Lagalla potrà attestarsi su scelte strettamente personali o dovrà solo abbozzare davanti ai desiderata dei partiti? Non ridurre le prossime giornate a uno stillicidio di trattative e confronti per piazzare le pedine sul nuovo scacchiere sarà tutt'altro che facile. Ha spalle larghe e corposo background, l’ex rettore e neo sindaco, ma adesso viene il momento di testarne la reale forza, al redde rationem di coalizione. Le avvisaglie non sono buone. Ieri a far festa a Palazzo delle Aquile si sono riviste facce della vecchia politica di centrodestra, rispolverate dalla naftalina del semi oblio, miste a colonnelli di segreteria e a nuovi volti rampanti e ambiziosi. E se i segnali in materia di trasparenza politica e limpidezza amministrativa sono attesi e auspicati fin da subito, altrettanto repentine dovranno essere alcune fondamentali scelte. Sappiamo già - ci siamo abituati da sempre, a ogni latitudine - che per mesi verrà portato avanti l'alibi, non sempre ingiustificato, del «colpa di chi c’era prima». Ma lo scatto in avanti ce lo aspettiamo. Lo chiediamo. Lo pretendiamo. La Palermo che esce dall’epopea orlandiana è una città mutata nei decenni, svestita da vecchie logiche, mondata e raddrizzata. Ma è anche una Palermo ferma nel pantano di emergenze ataviche che reclamano scelte strategiche. Urge una prospettiva lagalliana che vada oltre la visione orlandiana. La città trasparente e i filtri antimafia di cui ha parlato nella primissima intervista da sindaco a questo giornale, quando ancora si stavano stappando le bottiglie di champagne nel suo comitato elettorale a scrutinio ancora in corso, sono passaggi - ce lo consentirà il diretto interessato - fin troppo banali e scontati. Ci mancherebbe insomma che così non fosse. Ma dopo una campagna elettorale tutta e da tutti giocata sul filo dell’etica e della morale politica - fra giusti distinguo e parecchi sbrodolamenti superflui e pretestuosi - ora è tempo di fare quello che nessuno ha saputo dire prima del 12 giugno. Rifiuti, cimiteri, welfare, infrastrutture, giovani, lavoro. E soprattutto i conti. Lagalla dovrà andare a bussare alle porte romane per chiedere una moratoria sui tempi di adozione del bilancio, senza cui lo spettro dalla bancarotta si materializza drammaticamente. Non dimentichiamo che sulla burocrazia comunale pende anche un’inchiesta giudiziaria infarcita di intercettazioni ambientali che tratteggiano scenari di mezzucci e sotterfugi per provare a far quadrare i conti. Impresa improba. Non a caso, prima dell’insediamento di ieri, Lagalla aveva già sentito in gran segreto - unica fra i super burocrati attualmente in prima linea - Maria Mandalà, storica dirigente del settore Entrate e tributi. Giusto per avere il più possibile chiare le idee, prima di infilarsi nella sua prima missione romana. Preludio a tutto il resto. I programmi dei candidati a sindaco non li abbiamo visti, anche perché c’era poco di che promettere, senza lo straccio di un euro da spendere. I fatti ce li aspettiamo comunque da Lagalla e dalle forze che lo sostengono. Perché se è vero che i Don Chisciotte non servono a Palermo, è altrettanto vero che vorremmo evitare di schiantarci contro i troppi mulini a vento. E in quel caso non basterebbe neanche chiedere una mano d’aiuto a Dio e a Santa Rosalia.