Diciamo la verità, il titolo di Capitale della cultura, oltre che un riconoscimento alla città, rappresenta anche una generosa apertura di credito. Ciò non vuol dire che non bisogna cogliere la palla al balzo, tutt’altro. Una vetrina così importante, soprattutto dal punto di vista turistico, è un’occasione che non possiamo permetterci di sprecare. Così come non si può sprecare la possibilità di chiudere definitivamente con un passato che, almeno dal punto di vista della cultura, ha dato più spazio all’improvvisazione che al progetto, consegnando alle cronache solo episodiche iniezioni di bellezza spesso a uso e consumo di chi le ha portate in scena.
Per le sue caratteristiche ambientali, paesaggistiche e architettoniche – e per le contaminazioni che nei secoli hanno modellato scorci e tendenze –, Palermo oggi si presenta come un palcoscenico naturale unico al mondo. Ma a parte qualche rara eccezione, la città finora ha faticato a raggiungere l’obiettivo, tanto caro al sindaco, di fare sistema.
Il 2017, da questo punto di vista, ci ha lasciato alcuni esempi da cui possiamo trarre spunto. Tra questi vale la pena ricordare Piano city, una manifestazione bella e anche interessante, con pianoforti e concerti a tutte le ore del giorno e della notte e in vari punti della città, da Mondello ai Quattro Canti, passando per lo Zen, ma con una cornice di degrado che ha lasciato una cartolina da cui dobbiamo… affrancarci.
I turisti che scopriranno Palermo in questi mesi troveranno una città soffocata dalla crisi idrica e dall’emergenza rifiuti, un centro ancora troppo lontano dalle periferie, un piano di mobilità e dei trasporti carente, decine di strade sventrate dai cantieri, un’economia depressa e una serie di problemi che ci tengono saldamente agli ultimi posti delle classifiche legate alla qualità della vita.
Dal punto di vista architettonico, poi, la città è ferma da decenni. Campiamo di rendita grazie ai momenti felici della nostra storia: quello federiciano, che ci ha lasciato buona parte del percorso arabo-normanno, quello dei giardini monumentali e delle riserve di caccia realizzati dai nobili per ingraziarsi i reali, gli anni d’oro dei Florio e dei Basile, padre e figlio, del teatro Massimo, della fonderia Oretea, dell’esposizione universale, passando per i pochi edifici liberty sopravvissuti al sacco di Palermo. E poi? Cosa offre oggi il sistema culturale cittadino? E come si presenta Palermo a questo appuntamento storico?
Ciò che è successo finora, e che abbiamo puntualmente raccontato in queste pagine, non è stato incoraggiante. L’ouverture di quella che doveva essere un’opera corale è stato un assolo di annunci accompagnato da molte note stonate. Abbiamo brindato al nuovo anno, quello che ufficialmente ci ha proiettato nell’Olimpo delle capitali della cultura, senza nemmeno un simbolo, un sito internet o una campagna di comunicazione che desse anche all’esterno un segno di vita. L’unica arte che abbiamo avuto modo di apprezzare, in questo primo mese, è stata quella di rimediare. Che oltre a coinvolgere (tardivamente) gli studenti dell’Accademia di belle arti per colmare una lacuna evidente – vedi, appunto, la mancanza di un logo – ha portato il Comune a raccogliere di tutto per completare un programma che in molti punti somiglia tanto a un libro da scrivere del tutto. In cui si parla ancora dell’idea di istituire il biglietto unico per i luoghi d’arte e di una serie di progetti – dall’acquario al museo della strumentazione navale, dal centro congressi a uno spazio dedicato al Genio di Palermo per il quale dev’essere individuato perfino il luogo in cui realizzarlo – per i quali sarà difficile, per non dire impossibile, trovare le risorse adeguate o, viste le scadenze, per completarle entro l’anno.
In ogni caso, adesso finalmente si parte. E coscienti dell’importanza e del valore dell’appuntamento, metteremo le nostre pagine a disposizione per raccontare quello che è stato definito «un progetto di visione e non un semplice calendario di eventi». È chiaro che anche la città è chiamata a fare la propria parte e a dimostrare che tutti i palermitani meritano di vivere in una Capitale della cultura. Ed è chiaro che tutti, ognuno con il proprio ruolo e con la propria storia, siamo chiamati a fare in modo che questa occasione di visibilità nazionale e internazionale non si traduca nel classico tappeto sotto il quale spingere la polvere.
Bisogna fugare i dubbi e i sospetti di chi pensa che questo titolo sia un regalo o una sorta di scudetto vinto a tavolino.
E bisogna dimostrare al mondo che oggi, più che mai, Palermo è in grado di raccontare una nuova storia.
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