Quando nella primavera del 2008 una tempesta di vento scoperchiò alcuni pannelli del tetto del palasport di Fondo Patti sarebbero bastate poche decine di migliaia di euro per ripararlo. Ma nessuno è intervenuto e adesso stiamo a guardare le assi del parquet bruciate da un incendio, le macerie materiali e morali di quello che doveva essere il fiore all'occhiello dell'impiantistica sportiva di Palermo. Città carente di impianti, candidata e scartata come capitale europea dello sport 2016. Ancora una volta i tempi della realtà e quelli della politica divergono drammaticamente: nel 2011 si parlava di una spesa di 2 milioni di euro per il recupero del palasport, adesso tale cifra sarebbe più che raddoppiata. Una storia sofferta quella dell'impianto di Fondi Patti, chiesto per trent'anni inutilmente dagli sportivi palermitani. Poi, con i soldi delle Universiadi, iniziano i lavori di costruzione ma sono più volte interrotti. Il «Giornale di Sicilia» si impegna con una campagna di stampa, controllando, passo dopo passo, la ripresa dei lavori e contando in prima pagina i giorni mancanti all'apertura. Finché l'impianto viene finalmente inaugurato, nel 1999, con una spesa totale di circa 20 miliardi di vecchie lire. Un complesso d'inferiorità in meno per i palermitani, ma dura pochi pochi anni, tra grande pallavolo d'importazione e qualche famoso musicista (Venditti, Jovanotti, Nannini). Adesso le fiamme, un fatto grave di cui andranno individuate le responsabilità. Ma la struttura era già andata in fumo da tempo. Distrutta, più che dal vento tempestoso, dalla logica, o meglio illogica dell'abbandono. Perché un bene pubblico chiuso per anni è già perduto: non è certo, a volte, se costi meno recuperarlo o raderlo al suolo. Il palasport, con la sua fisarmonica di matitoni bianchi, è un monumento all'abbandono e allo spreco, tra pannelli penzolanti, resti di occupazioni abusive, pavimenti distrutti dalle infiltrazioni, furti e vandalismi. Un monito, per chi lo intenda, agli amministratori che rimandano a domani quel che dovrebbero fare oggi, alle burocrazie rallentatutto. Ovvero le nostre rovine quotidiane.