Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

Doni, cunti e dolci: quel filo di riti e tradizioni che ancora ci lega ai defunti

Giorno dei morti. La stessa differenza, ben nota dalle nostre parti, fra «pizzo» e dono, rispetto alle maschere di Halloween. Sgangherata e impropria, la competizione con le streghe di fattura celtica, almeno quanto è «tenera e di grande importanza civile la ricorrenza dei defunti nella nostra città e in generale in tutta l'Isola». Tesse ricordi, sapori e chiacchiere di camposanto brulicante, Gaetano Basile, storico di tradizioni che la festa del 2 novembre non ha bisogno di ricordarla: «La vivo come un bambino ogni anno, non deve morire e non morrà, se le famiglie ne comprendono il senso e continuano a tramandarne gli usi. La differenza rispetto a qualche anno fa? Adesso sono i miei figli a prepararmi il cannistro, la cesta dei dolci». E proprio sui bambini cala, da secoli, anziché il terrore della perdita, il buffetto di nonni, ma pure di bisnonni e trisavoli mai conosciuti. Sotto forma di doni, cunti e dolciumi. Basile, altro che scherzetto. Il 2 novembre è cosa seria. «Molto seria, e gioiosa nello stesso tempo. Una ricorrenza di grande impatto civile, che offre senza traumi ai più piccoli il contatto con l'idea della morte. Per i bambini si apriva ufficialmente la stagione delle grandi feste, con relative scorpacciate, e la letterina che scrivevamo ai cari morti non era meno importante di quella natalizia. Ci si sbizzarriva, ricordo che mia madre mi diceva: Talè, teniti vascio.... Bada a te, non esagerare. Poi magari ci scappavano regali fantastici, come quelli made in Germania che solo il vecchio Studer aveva in vetrina. Quel cavallo a dondolo con pelo equino vero, me lo ricordo ancora». Cosa non può mancare nel cannistro? «Composizione rigorosissima: scaccio assortito. Calia, semenza, niente arachidi che al tempo non erano diffuse da noi. Poi primizie di frutta: arance, mandarini, castagne. Ancora oggi io mangio la prima arancia per questa festa, non importa se è ancora acerba. Noci e nocciole, che erano in realtà biglie da mettere in gioco a fussitieddu e munzitieddu. Il patrimonio poteva così essere accresciuto se si era più bravi a colpirle o a tenerle in equilibrio». L'INTERVISTA INTEGRALE SUL GIORNALE DI SICILIA IN EDICOLA

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