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Lombardo, il candidato arrestato: «Volevo i voti, ma non dalla mafia»

«Ero andato in corso dei Mille perché conoscevo il genero di Vella da tempo, è lui il titolare di quella rivendita di frutta e verdura, poi c’era anche il suocero ma a quella conversazione ha partecipato pure un dipendente, non ho chiesto nessun aiuto alla mafia. Cercavo i voti per la mia campagna elettorale». Francesco Lombardo, il candidato al Consiglio comunale di Palermo della lista di Fratelli d’Italia che puntava ad almeno 1.300 voti per entrare a Sala delle Lapidi ma che ieri di preferenze allo spoglio ne contava solo 174, ha fornito la sua versione dei fatti all’interrogatorio al carcere Pagliarelli davanti al gip Lirio Conti.

Il geometra di Villabate arrestato venerdì scorso per voto di scambio politico-mafioso, con l’accusa di avere chiesto il sostegno del boss Vincenzo Vella, avrebbe ricondotto quell’incontro filmato dalle forze dell’ordine il 28 maggio scorso ad un incontro occasionale e ad una coincidenza per la presenza del mafioso. E la difesa, Lombardo è assistito dagli avvocati Pasquale Contorno e Giovanni Rizzuti, ha sottolineato come sia sintomatico che non ci siano stati rapporti fra loro «né prima né dopo» quel giorno. Lombardo «conosce il genero e la figlia» di Vella da tempo, ma «ha chiesto un aiuto personale, non certo volendo il sostegno della mafia. Quando parlava di famiglia, intendeva famiglia di sangue che, essendo numerosa fra tanti fratelli e sorelle, è una sassolata».

All’interrogatorio di ieri non si è sottratto nemmeno l’altro arrestato, Vincenzo Vella (difeso dall’avvocato Tommaso De Lisi), e anche lui avrebbe negato l’esistenza di un patto politico-mafioso riconducendo l’abboccamento ad un ordinario incontro nei giorni di campagna elettorale. Durante la perquisizione in casa di Vella, poi, gli investigatori non avevano acquisito nessun volantino elettorale riconducibile proprio a Lombardo.

Qualche giorno prima, con le stesse accuse di Lombardo e Vella, erano stati arrestati anche l’imprenditore mafioso Agostino Sansone (nel suo passato il contributo alla latitanza del capo dei capi Totò Riina) e il candidato consigliere di Forza Italia, Pietro Polizzi. E come per Lombardo, anche per Polizzi pochi voti dalle urne: appena 62. Ma il dipendente dell’Agenzia delle Entrate incappato nell’arresto già in sede di interrogatorio di garanzia aveva fatto sapere che, seppure fosse impossibile materialmente ritirare la sua candidatura, avrebbe in ogni caso rinunciato, ritirandosi dalla competizione.

Le figlie di Lombardo, invece, nel giorno dell’arresto del padre avevano pubblicato un messaggio sui social in cui invitavano a «votarlo per dimostrare realmente che persona è e che non è come l’hanno definito. Papà siamo con te, ti vogliamo bene».

Nel corso dell’interrogatorio Polizzi, difeso dall’avvocato Francesco Riggio, aveva detto di avere ricevuto Sansone il 10 maggio in una stanza del patronato di via Casalini a Passo di Rigano. Sansone, accompagnato dal suo collaboratore Manlio Porretto (anch’egli finito in carcere) si sarebbe presentato per una questione di tasse con l’obiettivo di avere un aiuto, una consulenza. E da lì poi il discorso sarebbe scivolato sulle elezioni e il sostegno che Polizzi potrebbe avuto avere. Nel corso della perquisizione domiciliare nella villa di Sansone in via Bernini furono, sì, trovati fac-simile di Polizzi ma non solo di lui, ha rilevato l’avvocato Luigi Sambito, ma anche di altri candidati, come può capitare in campagna elettorale.

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