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In mostra a Palermo l'ultima lettera di Borsellino scritta poche ore prima della strage

Paolo Borsellino

«Oggi non è certo il giorno più adatto per risponderle perché frattanto la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io non ho tempo da dedicare neanche ai miei figli, che vedo raramente perché dormono quando esco da casa ed al mio rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo nuovamente addormentati».

Lo scrive Paolo Borsellino il 19 luglio 1992 a poche ore di distanza dalla strage di via D’Amelio in cui perse la vita insieme agli agenti di scorta in una lettera indirizzata ad una professoressa di Padova.

«Ma è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di non lavorare - aggiunge il magistrato e non ho difficoltà a rispondere, però in modo telegrafico, alle Sue domande».

Nell’ultima giornata della sua vita, Borsellino, come ogni mattina, si alzò molto preso e andò nel suo studio per scrivere la missiva alla docente veneta che tre mesi prima lo aveva invitato a un incontro con gli studenti del suo liceo.

Quell'invito non arrivò mai a Borsellino, e la docente protestò:

«Essere un giudice famoso e stracarico di lavoro, non deve far dimenticare le buone maniere. - disse - C'è anche un questionario, con nove domande».

Borsellino iniziò a rispondere ai quesiti con una lunga lettera alla professoressa. Ma non riuscì a terminarla. E’ ora una sorta di testamento spirituale che sarà esposto da domani nel teatro Politeama di Palermo nella mostra curata dal consiglio nazionale del Notariato.

Ecco alcune delle parti estrapolate: «Sono diventato giudice perché nutrivo grandissima passione per il diritto civile ed entrai in magistratura con l'idea di diventare un civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalle necessità di inseguire i compensi dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribile per dar sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica, non appagabile con la carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso».

«Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressocchè esclusivamente - racconta - di criminalità mafiosa. E sono ottimista perché vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant'anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta».

Poi il giudice affronta il tema del «conflitto inevitabile con lo Stato, con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni): è risolto condizionando lo Stato dall’interno, cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di questi perchè venga indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di tutta la comunità sociale».

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