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Mafia a Palermo, colpo al mandamento di Pagliarelli: 32 condanne, solo lievi sconti in appello

Regge quasi integralmente in appello la sentenza con la quale, a novembre del 2016, erano stati inflitti con il rito abbreviato più di due secoli di carcere a presunti appartenenti al clan di Pagliarelli, arrestati nel maggio del 2015 nell’ambito dell’operazione “Verbero”. I giudici della seconda sezione, infatti, hanno concesso soltanto lievissimi sconti di pena a 7 dei 32 imputati.

Nello specifico, Giuseppe Massimiliano Perrone, ritenuto capo del mandamento, ha avuto una riduzione di 2 mesi e passa da 14 anni e mezzo di reclusione a 14 anni e 4 mesi, Tommaso Nicolicchia passa da 14 anni a 13 anni e 4 mesi, Andrea Calandra da 12 anni a 11 anni e 4 mesi, Vincenzo Bucchieri da 5 anni e 4 mesi a 5 anni e 2 mesi, Pietro Abbate scende a 3 anni, Rosario Di Stefano a 2 anni e 8 mesi (aveva avuto 3 anni) e Francesco Ficarotta da 2 anni e mezzo a 2 anni e 2 mesi.

Per tutti gli altri, invece, le pene sono state confermate: 18 anni a Vincenzo Giudice, 14 anni ad Alessandro Alessi, 12 anni ciascuno per Concetta “Cettina” Celano, Matteo Di Liberto, Aleandro Romano, Alessandro Anello e Salvatore Sansone, 10 anni ciascuno per Antonino Spinelli e Giovan Battista Barone, 8 anni a testa a Stefano e Giuseppe Giaconia, 6 anni ciascuno a Cosimo Di Fazio e Angelo Milazzo, 5 anni a Giovanni Giardina, 4 anni e 4 mesi a Carlo Grasso, 4 anni e 2 mesi ciascuno a Giuseppe Di Paola e Giovanni Catalano, 4 anni a testa a Carmelo Migliaccio, Giuseppe Castronovo e Giosuè Castrofilippo, 3 anni l’uno a Domenico Nicolicchia, Paolo Castrofilippo, Daniele Giaconia e Mauro Zampardi, infine 2 anni e mezzo ad Antonino Calvaruso, accusato di corruzione.

La Corte d’Appello ha inoltre condannato gli imputati al pagamento delle spese processuali delle associazioni che si sono costituite parte civile nel processo, tra cui il centro Pio La Torre, Confcommercio, Solidaria ed Sos Impresa.

Il blitz fece emergere che i summit di mafia si sarebbero svolti all’interno del bar dell’ospedale Civico. Qui sarebbero state decise le estorsioni da compiere e sarebbe venuto fuori anche un particolare interesse del clan per i lavori di rifacimento del Policlinico. Le intercettazioni, inoltre, misero in luce anche l’interesse della cosca per il traffico di droga. Secondo la Procura, a reggere il mandamento che fu dei boss Nino Rotolo e Gianni Nicchi, sarebbe stato una sorta di triumvirato, composto oltre che da Perrone, anche da Alessi e Giudice.

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