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Palermo, Massaro dopo l’assalto al bar: “Ditemi che ne vale ancora la pena”

Francesco Massaro

Venerdì sera un commando di 7 persone armate ha assaltato il bar Massaro, terrorizzando clienti e impiegati. In questo articolo il titolare, e nostro collega giornalista, racconta la lotta quotidiana di un commerciante che, oltre a far quadrare i conti, è costretto a convivere con la paura. Ieri a Massaro sono arrivati numerosi messaggi di solidarietà, compreso quello del presidente della Regione Nello Musumeci.

La cosa più difficile di una rapina è quello che succede dopo la rapina, quando la mattina ti svegli ed entri al bar e tutti ti guardano perché si aspettano qualcosa, una parola, un cenno, un mezzo sorriso forse, e tu devi essere forte anche se non lo sei, o semplicemente non ne hai voglia.
E invece ti tocca indossare la maschera più bella che possiedi, quella che magari hai da tempo nascosto in soffitta perché tu di maschere non ne indossi più, e sorridi col sorriso più finto che hai, bluffi con gli altri e con te stesso, fingi che non sia successo niente ed entri in laboratorio per controllare la cottura delle arancine, stai alla cassa, riprendi un banconista, fai di tutto affinché anche questo sabato qui, questo sabato che arriva poche ore dopo una rapina fatta da sette persone, sia un giorno qualunque, come ognuno dei giorni passati e di quelli che verranno.
Questo è il tuo lavoro, soprattutto questo. Questo è il lavoro di ogni commerciante. Non vendere, non far quadrare i conti, incassare e pagare. Il lavoro vero è bluffare, ballare anche se non ti va, stare sul palco a sipario sempre aperto, dare la sensazione che niente può scalfirti, che insomma figuriamoci se ti fai rovinare la vita e l’umore da uno di quegli accadimenti che se hai un locale devi necessariamente mettere nel conto. Ma fino a quando?, sussurri a te stesso. Fino a quando sei disposto a rispondere al telefono alle dieci di sera mentre sei a cena con gli amici? «Francesco vieni, hanno fatto una rapina brutta».
E pensare che fino a un secondo prima ridevi perché eri a tavola con amici a cui vuoi bene e che ti fanno stare bene. Una rapina brutta, mi diceva il cassiere al telefono. Perché poi non è vero che le rapine sono tutte uguali. Prendi questa qui. Sette persone per rapinare un bar. L’avete mai sentito di un bar rapinato da sette persone incappucciate? L’altro giorno rivedevo in tv Butch Cassidy e ad aspettare il treno blindato da rapinare erano in quattro, cinque al massimo. Venerdì sera al bar sono entrati in sette. Incappucciati. Hanno dato calci così violenti al vetro antisfondamento del gabbiotto che il cassiere a un certo punto ha temuto che crollasse in pezzi.
In sette per portare via qualche decina di stecche di sigarette e quel poco che c’era alla cassa. Sapevano che non avrebbero ottenuto granché perché durante il giorno i soldi finiscono in cassaforte, eppure sono entrati in sette. E allora ti fai domande. Perché un’azione tanto eclatante? Era solo una rapina? Era una rapina che conteneva un messaggio? E se sì, quale? Siamo tornati a due anni fa, quando mi facevano una rapina ogni due mesi? Non lo so. L’ho già detto. Fino a quando sarò disposto a farmi queste domande? Fino a quando accetterò di convivere con l’ansia perenne di un negozio in balìa delle raffiche di vento? Fino a quando guarderò la foto di mio padre sopra la cassa fingendo che in fondo era questa la vita che sognavo? Fino a quando rimanderò i conti con me stesso e con quello che avrei voluto essere e voluto fare? Sto andando fuori tema, lo so, ma era così anche a scuola, ho il vizio di divagare. Mi perdonerete.
Non mi spezzo, dicevo tra me e me ieri a pranzo mentre sparecchiavo i tavoli, facevo accomodare i clienti, dicevo grazie e prego. Non mi spezzo. Ma guardiamoci in faccia: sono davvero in grado, intimamente dico, di mantenere fede all’impegno? Di amare, onorare e rispettare il bar finché morte, mia o sua, non ci separi? Non lo so e oggi a dirla tutta non ho nemmeno voglia di pensarci. Stasera quando farò ritorno a casa e toglierò la maschera per riporla sul comodino ci penserò con calma. Vi tengo informati. Intanto grazie per l’affetto, non è poco. Non è poco.

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