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Porta Nuova, il giudice: così Teresa Marino manteneva gli equilibri del mandamento

Teresa Marino

PALERMO. Da moglie del boss a capomafia. Il “salto” Teresa Marino l’ha fatto quando il marito Tommaso Lo Presti è andato in carcere dopo una condanna per mafia. A quel punto ha preso le redini del mandamento mafioso di Porta Nuova.

E’ lei stessa che, intercettata nell’indagine Panta Rei del 2015, discutendo con la figlia Francesca e il genero Angelo, offre “quello che si può definire – scrive il giudice Nicola Aiello nelle motivazioni della sentenza emessa il 27 settembre scorso - un vero e proprio ‘affresco criminale’ della sua famiglia. Ripercorrendo, quasi esaltandone le gesta, le dinamiche delinquenziali della famiglia Lo Presti e del mandamento di Porta Nuova sul quale per lungo tempo si era profilata la loro egemonia. Proseguiva poi il suo dialogo parlando, nuovamente, dell’omicidio di Giuseppe Di Giacomo (a marzo del 2014), mostrandosi fermamente sprezzante nei confronti dello stesso (reo di aver offeso Lo Presti) e della sua intera famiglia”.

La conversazione – come sottolinea il giudice - e i toni usati da Marino confermano ancora una volta il suo ruolo apicale in Cosa nostra. Teresa Marino, nel 2014, prima racconta alcuni dissidi sorti tra suo marito e suo fratello Giovanbattista Marino, dei quali aveva approfittato Tommaso Di Giovanni per aspirare a ricoprire un ruolo di vertice nel mandamento di Porta Nuova. Poi precisa che, durante quel periodo, suo marito era stato messo in disparte (“posato”) dal punto di vista criminale su consiglio di Di Giovanni, in ragione della sua situazione processuale che lo vedeva in attesa di un’altra condanna definitiva (“...di pochi mesi che papà era fuori... neanche gli hanno fatto fare niente a papà in quei mesi che è stato fuori “ci levò i manu”.../... e lui gli fa Masino “ora ti stai qua e ti godi... se ero io facevo lo stesso”, dice: “però non ti muovere perché hai il definitivo...”).

La donna continua il suo racconto dicendo che, nonostante il consiglio e la volontà di assumere un ruolo di basso profilo nelle dinamiche delinquenziali del mandamento, il marito era stato costretto a “scendere nuovamente in campo” dopo l’arresto (per associazione di tipo mafioso) di un altro suo cugino, Tommaso Lo Presti detto “il lungo” nel 2008. L’ordine di “rientrare nei ranghi” del sodalizio era giunto da Gaetano Lo Presti “zio Tanino”, che era tornato al vertice del mandamento, morto suicida in carcere dopo due giorni dal suo arresto a dicembre 2008. (“Poi c’è stato che hanno arrestato “il lungo” e lo zio Tanino si è trovato fuori... lo zio Tanino non era infilato da nessuna parte, era messo in vetrina... però comandava sempre...”).

La donna racconta della visita di Masino Di Giovanni per chiedere il “rientro” a Tommaso Lo Presti e della sua soddisfazione (“...è salito il “corto” e fa dice: “dov’è tuo marito?” gli ho detto “è messo nel divano”. Dice, “andiamo pacchione devi venire con noi altri”. Il papà ci fa “dove devo andare?” no, dice “ti vuole quello ha bisogno di te”... “ah! Ha di bisogno è una parola... ha di bisogno... mi fa piacere dice se ha di bisogno”. Il papà non è che si faceva pregare! Sii!... dice “ha bisogno mi fa piacere, sto venendo”...inc...”).

Teresa Marino descrive anche lo spessore criminale del marito definendolo un “tipo tosto” che era riuscito ad imporsi, pretendendo e ottenendo di partecipare alla spartizione dei proventi illeciti: “papà sempre tosto a diciotto anni...” / “...sempre ha avuto i soldi, si infilava ovunque e si faceva dare i soldi, tipo il coso dello zio Salvo gli diceva “voglio la parte” e c’era infilato... però a lui non gli facevano fare niente...”).

“Teresa Marino – scrive Aiello - durante il periodo della sua detenzione domiciliare (in concomitanza con quella carceraria del marito), riceveva presso la sua abitazione tutti gli esponenti di spicco del mandamento mafioso di Porta Nuova e impartiva loro indicazioni e direttive proprie e del marito, condividendone  le strategie criminali. I sodali mafiosi dell’organizzazione, inoltre, si rivolgevano alla donna anche per dirimere questioni e tensioni interne al sodalizio. Le conversazioni intercettate risultano del tutto inequivocabili e dimostrano la sussistenza della responsabilità penale dell’odierna imputata. Marino aveva compiti direttivi e di coordinamento degli equilibri e delle dinamiche criminali dei sodali del mandamento di Porta Nuova, delineandone le gerarchie, le vicende criminali e le azioni delinquenziali che lo caratterizzavano e ne rappresentavano la fonte di sostentamento”.

Il processo ha avuto un andamento tormentato dall’intimidazione al giudice Aiello (una croce è stata disegnata sulla porta del suo ufficio e una lettera di minacce è stata recapitata al Tribunale).  Per questo motivo, per il giudice è stata disposta la tutela. Aiello, dopo la presentazione delle motivazioni, ha chiesto che gli fosse tolta ogni misura di sicurezza. “Sono sempre stato tranquillo - dice - e non ho dato un giorno in meno o un giorno in più di carcere rispetto a quello che ritenevo giusto”.

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