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Un nuovo leader o il ritorno alla "commissione": la mafia al bivio dopo la morte di Riina

Totò Riina tra due carabinieri dopo l'arresto del 15 gennaio del 1993

PALERMO. Il futuro di Cosa nostra, la successione di Riina. Dopo la morte del "capo dei capi", gli scenari sono incerti e imprevedibili. E fare una lista dei papabili che potrebbero raccogliere la sua eredità è difficile e, dice il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi  "velleitario oltre che prematuro".

Anche perché, sostengono gli investigatori, l'era dell'uomo solo, o quasi, al comando potrebbe essere finita con la morte del padrino. E la nuova Cosa nostra potrebbe tornare alla vecchia "commissione".

Le ultime grandi indagini sui clan, come quella denominata Perseo, dimostrano anzi proprio una propensione delle cosche verso l'istituzione di un organismo di vertice come la commissione impedita finora solo dai blitz della magistratura. Nulla, al momento, nelle inchieste fa ritenere che si pensi a una figura carismatica che, peraltro, dovrebbe mettere d'accordo tutti e che, sostiene chi indaga, non esisterebbe. Certo, delle personalità di spicco in Cosa nostra ci sono. E alcune da poco sono anche tornate in libertà: come Giovanni Grizzaffi, nipote di Riina, che ha lasciato la cella a luglio scorso ed è tornato a Corleone. In paese lo aspettavano in molti, ma è anche vero che tanti non lo amano. E il mandamento, che per anni ha dettato legge in Cosa nostra, da tempo non ha più il ruolo centrale del passato.

Un boss carismatico scarcerato c'è ed è palermitano, dato, questo, che è già una buona credenziale per la leadership: è Giuseppe Guttadauro, ex medico mafioso con una caratura di rango e rapporti in politica. Di nuovo in carcere, invece, Pino Scaduto, padrino di Bagheria, enclave mafiosa cara ai corleonesi e in particolare a Bernardo Provenzano. Ma Riina ha dimostrato che la detenzione non è un ostacolo al comando. E poi c'è l'infinita lista di capi e capetti, alcuni prossimi alla scarcerazione, altri detenuti, altri ancora appena liberati: come Giulio Caporrimo, boss di San Lorenzo, e Tommaso Di Giovanni e Gregorio di Giovanni, del potente mandamento di Porta Nuova.

Tra ipotesi e nomi, quel che è certo, conferma il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, è che la mafia non può rinunciare a un vertice, individuale o collegiale che sia, perché la struttura verticistica è nel suo dna. Un dna che non è mutato nonostante la capacità di risorgere e adattarsi al nuovo mostrata dall'organizzazione. Altro dato su cui gli inquirenti convengono, poi, è che la leadership difficilmente passerà all'ultimo grande latitante, Matteo Messina Denaro: è trapanese e i palermitani non accetterebbero un capo di fuori e, come emerge anche dalle conversazioni infastidite dei suoi, sarebbe concentrato più sulla latitanza e sui suoi affari che sui destini di Cosa nostra.

Sembrano infine fantascientifiche le ipotesi di designazioni di donne al comando: la moglie di Riina, Ninetta Bagarella che pur avendo un ruolo importante e un nome di rilievo - è la sorella del capomafia Leoluca Bagarella - a parte qualche ingerenza in affari familiari e nella protezione dei figli, non avrebbe mai mostrato il piglio del leader e la voglia di succedere al marito. Altre donne papabili, assicurano gli investigatori, in Cosa nostra non se ne vedono.

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