«Le coscienze si risvegliano proprio a partire da periferie come quella dello Zen. Ho visto energia, autorganizzazione, associazioni, comitati, veri e propri laboratori, in cui si fa politica dal basso. Laboratori a cui la politica nazionale dovrebbe attingere per arricchirsi di nuove idee e visioni». La lotta alla cultura mafiosa parte proprio dalle periferie, più forti di uno sfregio a una statua.
Ne è convinta la presidente della Camera Laura Boldrini, che a settembre vorrebbe accogliere a Montecitorio gli alunni della scuola Falcone come vi ha accolto tempo fa le donne dello Zen 2.
Presidente, dopo il vandalismo al busto di Falcone ci sono stati altri atti intimidatori allo Zen e alla scuola Falcone. Che sensazioni prova?
Profonda amarezza. Gesti come questo hanno il loro peso sempre. Tanto più in un quartiere difficile come lo Zen, dove la lotta contro l’emarginazione e per il riscatto è quotidiana. In questo contesto la scuola Falcone, lo sappiamo bene, è un presidio di socialità e legalità. Ma quando ho appreso la notizia, ho pensato anche alle tante persone perbene che vivono allo Zen, al fatto che generalizzare è sempre sbagliato. È vero che nelle periferie accadono spesso episodi deprecabili, ma questo non autorizza nessuno ad alimentare stereotipi, come se gli abitanti dello Zen, di Torbellamonaca o di Quarto Oggiaro fossero tutti dei malviventi. Non è così! E l’ho potuto constatare direttamente incontrando tante persone serie, oneste e impegnate per la riqualificazione il del loro quartiere.
Lei ha sentito la preside della scuola Falcone, cosa vi siete dette?
Le ho voluto esprimere solidarietà e vicinanza, le ho voluto ribadire che la sua scuola è un presidio prezioso e che va tutelato. Le ho detto che non devono sentirsi soli e l’ho invitata insieme con i suoi alunni a venire a Montecitorio non appena riprenderanno le lezioni a settembre.
Lei andò allo Zen poco più di un anno fa, e poi gli abitanti del quartiere le restituirono la visita alla Camera. Ci racconta come è andata?
A fine 2015 ho iniziato quello che definirei un viaggio nelle periferie delle maggiori città italiane e ovviamente sono stata anche allo Zen. In tutte queste occasioni ho incontrato tantissime persone e il nostro rapporto non si è esaurito con la mia visita. Ogni volta ho chiesto ai cittadini di venirmi a trovare a Palazzo Montecitorio. Perché è la casa degli italiani, e anche casa loro dunque. Ad esempio lunedì prossimo verranno alla Camera gli abitanti di Quarto Oggiaro dove ero stata nello scorso mese di novembre. È successa la stessa cosa anche allo Zen, dove nel marzo del 2016 ero stata invitata a casa della signora Innocenza che mi ha fatto trovare lì anche tutte le amiche. Siamo state a discutere per un’intera mattinata dei problemi del quartiere e delle cose da fare per migliorarlo. In particolare erano preoccupate per il ritardo nella realizzazione del campetto di calcio. Ne ho parlato con il sindaco Orlando e mi ha fatto piacere sapere poco dopo che il problema era stato risolto. Ho trovato donne forti, combattive, consapevoli e piene di energia. Ma non è un’eccezione perché in tutte le periferie che ho visitato ho constatato che le donne sono sempre in prima fila nelle iniziative contro il degrado, nei comitati, nelle associazioni dei cittadini.
Secondo lei si fa abbastanza per combattere la cultura mafiosa?
Si fa molto ma mai abbastanza. Decisivo è il ruolo della scuola. Educare alla legalità significa educare al rispetto degli altri e del bene comune. Significa fornire modelli di vita e di comportamento alternativi a quelli della sopraffazione, dell’arricchimento facile e della violenza che sono tipici della cultura mafiosa. Insomma è necessario smontare l’inganno di chi presenta la vita dei mafiosi come ricca e di successo. I fatti dimostrano al contrario che il destino dei boss è il carcere, la morte per mano dei loro nemici o, quando va bene, la latitanza. In questa battaglia gli insegnanti svolgono un ruolo cruciale, sono baluardi di democrazia e legalità. Palermo comunque ha dimostrato che le cose possono cambiare. Come ricorda spesso il sindaco Orlando era la capitale della mafia, oggi è la capitale della cultura e dell’accoglienza.
A suo parere chi combatte la mafia in terra di frontiera si trova isolato o le istituzioni fanno fino in fondo il loro dovere?
In Italia abbiamo una legislazione rigorosa, avanzata e in continuo miglioramento. Penso ad esempio al codice antimafia recentemente approvato dal Senato e che sarò prossimamente all’esame della Camera. Però sono consapevole che le buone leggi non bastano: serve un impegno quotidiano delle forze politiche e delle istituzioni per contrastare le organizzazioni mafiose e quella zona grigia presente nella società e nell’economia che spesso fa da copertura agli affari dei boss.
E la società civile? Le coscienze sono deste o c’è un intorpidimento che fa vincere l’indifferenza?
Io non vedo alcun intorpidimento delle coscienze, anzi! Soprattutto nelle periferie ho visto energia, autorganizzazione, associazioni, comitati, veri e propri laboratori, in cui si fa politica dal basso. Laboratori a cui la politica nazionale dovrebbe attingere per arricchirsi di nuove idee e visioni.
Per il giorno dell’anniversario della strage di via D’Amelio sarà a Latina, come mai?
Sono stata invitata dal sindaco ad intitolare il parco comunale proprio alla memoria di Falcone e Borsellino, come simboli della lotta per la legalità. Un parco che nel passato portava il nome di Arnaldo Mussolini, fratello di Benito. E il cambiamento non è da poco.
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