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Giuseppe Dainotti, il boss ergastolano scarcerato l'anno scorso: ecco perché

PALERMO. Uomo del clan mafioso di Porta Nuova, condannato all’ergastolo nel 1983, era stato scarcerato a marzo del 2016 (e non tre anni fa, come scritto in precedenza) dopo 24 anni di detenzione.

Scarcerazione seguita da una sentenza della corte di Cassazione in applicazione della legge Carotti, che consentiva ai colpevoli di reati per cui era previsto l'ergastolo di vedere commutata la pena in 30 anni di carcere se chiedevano il rito abbreviato.

La legge, approvata nel 2000, venne prima impugnata e sostituita da una successiva temendone l'abuso, considerato che anche altri ergastolani avevano iniziato a farne ricorso per vedersi di fatto ridurre la pena. La norma successiva, il cosiddetto "ergastolo retroattivo", cancellò i contenuti della precedente e stabilì che chi chiedeva l'abbreviato aveva diritto solo a non fare l'isolamento diurno. Ma questa lettura venne prima respinta dalla Corte di Strasburgo, che condannò l'Italia, quindi respinta anche dalle sezioni unite della Cassazione nell'aprile 2012 e quindi dalla Corte Costituzionale.

In sostanza, chi venne condannato all'ergastolo in quegli undici mesi (tra gennaio e novembre 2000) ha potuto vedere commutata la pena in 30 anni.

Vennero dunque scarcerati anche killer e uomini di grosso calibro di Cosa nostra, tra cui Giuseppe Dainotti. Con lui anche Giovanni Matranga, Francesco Mulè e Giulio Di Carlo, anche loro condannati all’ergastolo per l’omicidio nel 1983 del capitano dei carabinieri Emanuele Basile.

 

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