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Cocaina nella "Palermo bene", quattro degli arrestati chiedono il patteggiamento

PALERMO. Hanno chiesto di patteggiare la pena quattro dei cinque presunti pusher arrestati a febbraio per spaccio di cocaina. Tra i clienti, come emerse dalle indagini, c'erano 15 avvocati, un assistente di volo, titolari ristoranti noti in città a cui i pusher a “domicilio” recapitavano la droga.

La richiesta di patteggiamento è stata avanzata da Danilo Biancucci (3 anni e 8 mesi), Giovanni Fiorellino (3 anni e 8 mesi), Alessandro La Dolcetta (2 anni) e Stefano Macaluso (4 anni). Antonino Di Betta ha invece scelto il rito abbreviato. Adesso il gup si dovrà pronunciare sui patteggiamenti.

La Procura aveva chiesto e ottenuto il processo con rito immediato (e quindi senza l'udienza preliminare). Secondo il pm Maurizio Agnello, che ha coordinato le indagini, Stefano Macaluso e Antonino Di Betta si sarebbero alternati nei turni di spaccio. Di solito Macaluso faceva il “turno” dalle 8 alle 20, mentre la notte lavorava Di Betta. Sono stati monitorati per sessanta giorni e hanno ricevuto circa 80 richieste al giorno di cocaina, che raddoppiavano nei festivi, finendo col far registrare oltre 22 mila conversazioni.

Una raffica di chiamate, circa 300 al giorno, tutte codificate, sintetiche. Servivano a mettersi d’accordo per gli incontri.Gli avvocati in qualche caso chiedevano di portare la droga vicino lo studio. Dai sequestri, è emerso che la cocaina era molto pura, con principio attivo sempre superiore al 76%.

Secondo le stime della Procura, gli acquirenti censiti sono 580, con minimo 80 richieste al giorno evase dai pusher (il doppio nei weekend). Sono 22 mila in tutto le telefonate registrate con oltre 5.500 messaggi. La dose minima smerciata era di 0,4 grammi. Con un totale di circa un chilo di cocaina al mese.

Intercettando Macaluso e Di Betta, è venuta fori anche l’altra banda di pusher. Anche loro ricevano centinaia di chiamate al giorno e lavoravano su turni. La qualità della droga però sarebbe stata meno pura. Tanto che alcuni clienti parlavano di “birra sventata” e chiedevano una nuova dose.

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