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Inchiesta Gesap, dalle denunce emergono minacce di Scelta

Carmelo Scelta

PALERMO. “Preannuncio che nella presente riunione non è previsto il diritto di replica. C’è chi viene qui e fa il dandy… c’è chi è entrato con un contratto co.co.co. e deve ringraziare il cielo che adesso ha un contratto migliore e quindi deve stare zitto. Fate quello che vi è stato detto di fare. Rimettete il culo sulla sedia e non vi alzate sino a quando non lo fate. Non vi intromettete nelle decisioni aziendali sennò vi licenzio e vi faccio stalking”.

Sono queste le parole che avrebbe pronunciato Carmelo Scelta nel 2009, ex direttore generale della Gesap, parlando con alcuni dipendenti tra cui un ingegnere che fu poi licenziato perché si sarebbe rifiutato di firmare un progetto che non aveva redatto e che non condivideva. Scelta convocò la riunione con una mail denominata “adeguata stimolazione”. A riferire le parole di Scelta agli inquirenti è stato l’ingegnere licenziato e poi reintegrato dopo una sentenza del giudice del lavoro.

Già nel 2010 l’allora componente del cda di Gesap Domenico Di Carlo aveva rassegnato perplessità sull’operato dei vertici aziendali e in particolare dell’amministratore delegato Giacomo Terranova e delle direttore generale Carmelo Scelta, in considerazione del ricorso sempre più frequente a contrattualizzazioni esterne pur in presenza di risorse umane del tutto adeguate nel settore progettazioni e manutenzione.

Di Carlo aveva anche richiesto formalmente con una lettera dei chiarimenti che non è stata mai presa in considerazione.

Di Carlo ha spiegato ai magistrati che “Scelta operava come fosse l’amministratore delegato. Il grosso appalto della hall arrivi venne parcellizzato in 15 mini progetti allo scopo di aggirare l’obbligo di effettuare la gara pubblica. Un ingegnere mi disse che era stato licenziato perché si era rifiutato di firmare un progetto elaborato dalla Cdp Compagnia di progetto spa. La Cdp predisponeva i progetti ma per evitare l’affidamento ad evidenza pubblica i progetti venivano affidati in house a un gruppo di giovani ingegneri che dovevano figurare ufficialmente come realizzatori ma che, di fatto, dovevano limitarsi ad apporre la loro firma al progetto”.

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