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Cosa Nostra e i pestaggi punitivi, il racconto del pentito: una volta fu usato un martello

PALERMO. Il pestaggio dell’avvocato Enzo Fragalà non è un episodio isolato in Cosa nostra. Anzi è uno degli scenari che si profilano più frequentemente per chi fa uno “sgarro”. A parlarne è ancora una volta il collaboratore Francesco Chiarello che ha spiegato ai pm come c’erano diversi affiliati dediti a pestaggi che servivano all’affermazione della propria forza per la gestione del territorio.

Un gruppo di picchiatori di cui si avvaleva non lo solo la famiglia di appartenenza ma tutto il mandamento di Porta Nuova. Il modus operandi era quasi standard: c’era chi individuava la vittima, i pali e gli aggressori. Per esempio, come emerge da un’altra operazione delle forze dell’ordine, il 19 maggio 2010, dopo circa tre mesi dall’aggressione di Fragalà, tre degli arrestati di ieri (Antonino Abbate, Salvatore Ingrassia e Francesco Castronovo) hanno organizzato una spedizione punitiva nei confronti di un pregiudicato.

Era stato Abbate a convocare in una sala scommesse gli altri due spiegando loro che quella sera dovevano andare a fare “quel discorso”. “Il martello ancora lì sotto ce l’hai? Il martello sotto la sella?”, chiede a Castronovo nelle intercettazioni. “Il martello pure buono è - prosegue - ora se non c’è come ce la rompi la testa, ci devi ballare di sopra, minchia ti dico che… Io neanche voglio farmi vedere, minimamente mi devo incontrare con lui”.

Qualche ora dopo Abbate dice a Ingrasia: “Ti vai a posizionare…vai a posizionare fai finta che passaggi così, hai capito? Con il martello proprio… se magari”. E Castronovo: “Ho capito che perché lui se ne va con il sangue dalla bocca, dalla bocca”.

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