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In 14 a rischio scarcerazione, il caso passa a Corte d'Appello

PALERMO. Si tenta di impedire la scarcerazione dei 14 mafiosi palermitani che il 9 febbraio, dopo essere stati condannati in primo grado dal gup per mafia ed estorsione, potrebbero essere liberati per scadenza dei termini di custodia cautelare.

Il pg Emanuele Ravaglioli ha chiesto al presidente del collegio di corte d'appello che dovrà celebrare il processo di secondo grado di congelare i termini di custodia. Il magistrato ha fissato per il 14 un'udienza camerale in cui dovrà decidere se accogliere l'istanza.

La legge prevede che lo stop al decorso dei termini si possa disporre nel corso del processo, mentre in questo caso, il giudizio di appello non è ancora stato fissato. L'eventuale sospensione della decorrenza dunque dovrebbe essere decisa in una udienza apposita celebrata il 14, 5 giorni prima della fine del count down.

Il pg ha motivato l'istanza rivolta alla corte d'appello richiamandosi alla norma del codice di procedura penale che consente la sospensione dei termini di custodia anche prima della apertura del dibattimento (di secondo grado in questo caso ndr) perchè la particolare complessità del dibattimento può risultare evidente anche prima dell'inizio del processo «in considerazione del numero degli imputati, della vastità delle imputazioni, della gravità dei reati e del numero dei testimoni indicati dalle parti».

Sulla vicenda ieri il ministro della Giustizia ha deciso di fare chiarezza attraverso l'avvio di accertamenti ispettivi. I mafiosi, in tutto gli imputati erano 23, ma il rischio scarcerazione si corre per 14, sono stati condannati nel 2015. Il gup ha depositato le motivazioni in considerevole ritardo chiedendo più proroghe al presidente del tribunale.

L'ultima proroga, a cui era seguito un congelamento dei termini di custodia, è stata ritenuta illegittima e annullata dal tribunale del Riesame nei giorni scorsi. Non ci sono i tempi di legge per fissare il processo d'appello e congelare il decorso in quella sede, da qui la necessità di correre ai ripari attraverso un'udienza camerale.

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