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Basile ammette: è suo il bimbo avuto con la ex dipendente

PALERMO. "Quel figlio è mio". Rosario Basile, ex patrono della Ksm, ammette di essere il padre del bimbo avuto da una sua dipendente. Lo ha detto durante l'interrogatorio di garanzia davanti al Gip Filippo Serio che lo ha sentito dopo la seconda ordinanza di custodia cautelare chiesta dalla Procura.

Basile finì sotto inchiesta a settembre. Ad accusarlo una sua ex dipendente secondo cui l'uomo d'affari palermitano avrebbe organizzato un piano fatto di minacce, ritorsioni e violenza privata prima per evitare che il bimbo venisse al mondo e poi per non riconoscere il bimbo nato dalla loro relazione sentimentale.

Per quanto riguarda la seconda accusa, quella di aver falsificato alcuni documenti depositati nel processo per il licenziamento della donna e di un suo collega, Basile - difeso dagli avvocati Nino Caleca, Roberto Mangano, Antonio Ingroia e Francesca Russo - ha spiegato: "Sono totalmente estraneo a questa storia. Non ho falsificato nessun tabulato". Secondo l'ex presidente della Ksm questa operazione sarebbe stata fatta a sua insaputa. Nella seconda tranche sono finiti sotto inchiesta Francesco Di Paola, dirigente della società, il figlio del patron e legale rappresentante della società, Filippo, e l'ex vice questore Luigi Galvano. Il gip li ha interdetti per 12 mesi dalle cariche. Lo stesso giudice, ha però respinto, la richiesta di ripristinare gli arresti domiciliare per Rosario Basile che resta obbligato a vivere lontano dalla Sicilia.

Secondo il pubblico ministero Siro De Fammineis, Basile per potere licenziare la donna con cui aveva aveva avuto una relazione, dalla quale è nato un figlio, aveva sostenuto che la stessa donna avesse una storia sentimentale con un collega. E per rendere credibile il tutto spuntarono dei messaggi. Ma i tabulati, presentati al giudice del lavoro che si occupò della causa contro il licenziamento intentata dai due ex dipendenti, sarebbero stati manomessi.

Intanto, tutto il procedimento potrebbe spostarsi a Caltanissetta. Gli avvocati hanno infatti sollevato una questione di incompetenza funzionale del Tribunale di Palermo perché "il reato compiuto dagli indagati durante la causa di lavoro prevede o la correità del giudice o l'induzione in errore del giudice del lavoro sulla base della documentazione falsa".  In ogni caso - secondo i legali - la competenza sarebbe di Caltanissetta. Il giudice si è riservato.

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