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Presunte firme false del M5S: superteste racconta la vicenda ai magistrati

PALERMO. Potrebbe essere vicina a una  svolta l'inchiesta sulle presunte firme false apposte alle liste  elettorali presentate alle comunali del 2012 dal Movimento  Cinque Stelle a Palermo.

Secondo indiscrezioni, un attivista  starebbe collaborando con i magistrati che sul caso, ad ottobre  scorso, hanno aperto un'indagine. Il superteste, che avrebbe  ammesso le sue responsabilità nella vicenda e sarebbe dunque  anche indagato, avrebbe fatto i nomi degli altri compagni di  partito coinvolti.

«La firma falsa è una firma copiata, noi non riusciamo nemmeno  a essere disonesti. In quella lista lì non è stato eletto  nessuno», commenta il leader del movimento Beppe Grillo  definendo quanto accaduto «l'Oscar della stupidità».

La Procura intanto prosegue l'attività istruttoria. Oggi,  l'aggiunto Dino Petralia e la pm Claudia Ferrari hanno sentito  come persone informata sui fatti, alla Digos di Roma, la  deputata palermitana Giulia Di Vita. Ieri, sempre nella  capitale, sono stati ascoltati i parlamentari Chiara Di  Benedetto e Loredana Lupo e il presidente del Gruppo Andrea  Cecconi.

L'inchiesta, inizialmente a carico di ignoti, ora con  iscritti nel registro degli indagati, è stata aperta dopo le  denunce, fatte alla trasmissione Le Iene, dall'attivista Cinque  Stelle Vincenzo Pintagro. Quest'ultimo ha raccontato che nella  raccolta delle firme era stato fatto un errore formale e per  rimediare, visto che i tempi per la presentazione stringevano e  sarebbe stato impossibile ricontattare i sostenitori della lista  per farli firmare di nuovo, si era deciso di ricopiare le  sottoscrizioni. L'attivista ha puntato il dito contro Claudia  Mannino (ora deputata) e Samantha Busalacchi (ora collaboratrice  del gruppo di M5S all'Ars) indicandole come le responsabili del  falso. Ma a sapere della vicenda sarebbero stati in tanti. E in  tanti sarebbero stati presenti mentre le due donne copiavano  dagli originali.

La Procura ipotizza il reato previsto dall'articolo 90,  secondo comma, del Testo Unico 570 del 1960 che punisce con la  reclusione da due a cinque anni, tra l'altro, «chiunque forma  falsamente, in tutto o in parte, liste di elettori o di  candidati od altri atti dal presente Testo Unico destinati alle  operazioni elettorali, o altera uno di tali atti veri oppure  sostituisce, sopprime o distrugge in tutto o in parte uno degli  atti medesimi». «Chiunque fa uso di uno dei detti atti  falsificato, alterato o sostituito, - recita la legge - è punito  con la stessa pena, ancorchè non abbia concorso nella  consumazione del fatto».    L'elenco degli indagati, dunque, vista l'ampia previsione  della legge potrebbe essere lungo.    Sulla vicenda la Digos di Palermo, già nel 2013, in seguito a  un anonimo giunto in Procura, aveva aperto un'indagine che si  era però conclusa con una archiviazione.

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