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Siti Unesco, la Cattedrale di Palermo: trama di stili e civiltà - Foto

PALERMO. Tessuta, come la Sicilia, di un ammaliante disordine. Plurale, per dirla con Bufalino. Davanti alla Cattedrale di Palermo ognuno può fare le proprie scelte, ciascuno avrà le sue sorprese. Molte civiltà si sono esaurite nella creazione di uno stile e sono praticamente morte dopo un' unica fioritura. La Sicilia non è mai appartenuta a se stessa, ha sempre dovuto cedere ai vincitori nei quali non si riconosceva, ma ha fatto diventare opere imposte da altri una ricchezza personale. Secoli di ininterrotta bellezza, di dure prove, di sofferenze, di catastrofi, costituiscono una riserva inesauribile di emozioni, inquietudini, una polveriera di fantasia e genio, di serenità normanna e di follia barocca.

Prendete, appunto, la facciata della Cattedrale: la prima stesura oggi è difficilmente leggibile per le aggiunte successive che hanno sconvolto l' immagine complessiva dell' involucro esterno. Uno degli elementi recuperati dall' antica maschera è un' iscrizione coranica su una colonna del portico meridionale, mentre la merlatura ad

archetti, caratteristica dell' architettura normanna, corre lungo tutto il fianco destro. Si cambia: ecco le slanciate torri gotiche, aggiunte tra il XIV e il XV secolo; quattrocentesco è il portale d' ingresso, decorato con battenti lignei e sormontato da un mosaico raffigurante la Madonna. Ancora gotico -catalano il porticato meridionale di Antonio Gambara con le sue scene sacre e gli stemmi della città, pura scenografia. Le cupolette maiolicate coprono lena vate laterali che modificarono il disegno originario: risalgono, infatti, al rifacimento totale del 1781 affidato a Ferdinando Fuga, e alla trasformazione neoclassica; la cupola è barocca e venne aggiunta durante il restauro. Nel secolo scorso è avvenuta la sistemazione, sul campanile, della statua della Madonna della Conca d'oro di Nino Geraci, mentre il 1961 è l' anno dell' inaugurazione della porta bronzea dell' ingresso principale di Filippo Sgarlata.

Insomma, un racconto di pietra, un susseguirsi di itinerari della bellezza, dell' antichità. Mettere ordine, sarebbe come andare contro lo spirito del luogo, una trama fitta, misteriosa, che ne simboleggia l' anima e ne rappresenta la crescita e l' evoluzione. Siamo sul Cassaro, da sempre la strada per eccellenza di Palermo, asse portante della città antica, che attraversa da mare a monte un accumulo stratificato di dati. Fin quando, sulla destra, si apre l' ampia spianata recintata- arricchita da una balaustra di Vincenzo Gagini, distrutta poi ricostruita - e appare la Cattedrale, voluta dall' arcivescovo Gualtiero Offamilio, quasi una sfida alla chiesa - mausoleo di Monreale. Un segno di potere più temporale che spirituale. Il sito è inserito nell' Itinerario arabo - normanno, patrimonio dell' Umanità dal 2015. «È un luogo molto visitato- spiega il parroco, monsignor Filippo Sarullo- il 2015 è stato unan no molto positivo per il turismo a Palermo e, di conseguenza, anche per noi. Far parte del patrimonio dell' Umanità può aggiungere ai tanti turisti, anche quei visitatori che amano conoscere i luoghi più rappre sentativi della terra targati Unesco». Perché questo fa l' Unesco: mette all' attenzione del mondo le eccellenze artistiche o architettoniche che sceglie.

Ma sono le stesse eccellenze che devono mantenersi belle con rigenerazioni costanti. La Cattedrale ci prova: «Si è appena concluso l' intervento che ha riportato allo stato originario normanno l' abside dietro alla Cappella del Ss. Sacramento. La scorsa estate è stato terminato il restauro del portico meridionale che ha interessato il tetto e il ripristino delle pareti della volta. Per sanare le infiltrazioni d’acqua è stata smantellata, e poi risistemata, la copertura in maiolica. In corso un lavoro sull’organo che sarà ultimato entro l’anno. Ma nel frattempo suona ugualmente».

Le cupolette che coprono le navate, però, mostrano i segni dell’età: «Per quel genere di intervento servono grosse disponibilità economiche. Io, come parroco, posso fare manutenzione ordinaria, pulizia straordinaria, reinvestendo gli incassi dei biglietti di accesso alle aree monumentali, come è stato fatto per il portico che ha anche usufruito di un contributo della Regione. L’ufficio Beni culturali della curia è alla ricerca di finanziamenti, speriamo che essere patrimonio Unesco aumenti la sensibilità di pubblico e privato». La visita è una summa della cultura artistica palermitana, costituisce il punto di arrivo dell’esperienza fatimita valorizzata e arricchita dalla capacità costruttiva normanna e, nello stesso tempo, un banco di prova per le culture successive che si misurarono con questo edificio simbolo della città, reinterpretandolo.

Per un tour sui tetti preparatevi a salire 107 gradini alti 30 centimetri. Ma ne vale la pena. Da sopra i tetti a sotto terra: la cripta propone un giro tra le urne di vescovi e arcivescovi, alcune di età classica e altre, come quella dell’arcivescovo Paternò, realizzata dalla bottega dei Gagini. Tornati in superficie, due banchetti vendono oggettistica: «Quello esterno alla chiesa esiste da tempo immemorabile, quello dentro non lo trovo sconveniente, offre articoli sacri». Dalle immaginette di Padre Puglisi, che qui riposa, a quelle di Santa Rosalia, che dispone di una cappella tutta per sé dove sono conservate le sue reliquie.

«Il sito è molto visitato, il 2015 è stato un anno positivo per il turismo a Palermo e, di conseguenza, anche per noi. Far parte del patrimonio dell’Unesco può aggiungere ai nostri soliti numeri, quei visitatori che amano conoscere i luoghi Unesco».

Il «Tesoro» è un’attrazione: nel 2006 venne riallocato nell’ex sacrestia grande e in quella dei Canonici, conserva oggetti sacri, ostensori e calici, la tiara d’oro di Costanza d’Aragona, recuperata dalla sua tomba, capolavoro dell’oreficeria medievale, eseguita nel Tiraz, l’opificio di Palazzo reale, con perle e pietre preziose. Da ammirare il seicentesco paliotto di Santa Rosalia, il carro in argento della Santuzza, ancora un paliotto del XVII secolo realizzato con pregiati tessuti e perline di corallo, proveniente dalla Cappella del Crocifisso e, in fondo, la Madonna delle Scale scolpita nel marmo da Antonello Gagini. Accanto alle teche le informazioni sui reperti sono in italiano e in inglese, non vale lo stesso per i pannelli, rigorosamente in italiano:

«Stiamo provvedendo - conferma monsignor Sarullo - e a breve saranno pronte le guide in inglese e tedesco». E dalle parti delle tombe reali, le traduzioni in tedesco sarebbero opportune, visto che non c’è tedesco che venga a Palermo e non passi a trovare Federico II: cisono due rose sulla tomba in porfido, un granito di origine vulcanica, molto pregiato, del solo monarca cristiano che abbia provato, riuscendoci, a riconciliarsi con l’islam. Il 1781 è l’anno della prima ricognizione nel sarcofago di «Stupormundi», un intervento non senza conseguenze: il coperchio, lesionato, fu ricollocato in senso inverso, causando infiltrazione di aria e luce. L’ultima operazione sul corpo mummificato di Federico II è stata eseguita nel ’98, dal punto di vista etico, filosofico, scientifico, storico con prelievi di campioni microbiologici e di tessuto capaci di fornire un’analisi completa sulla conservazione di questo patrimonio.

Lui se ne sta lì da secoli, con una corona in testa e tre vesti di lino e seta,«ottimamente conservato». Per la felicità dei tedeschi.

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