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Mostre, maschere e spettacoli: tutto pronto a Palermo per il Carnevale dell’Opera dei Pupi - Foto

PALERMO. Mimmo Cuticchio ha deciso di organizzare il Carnevale all’Olivella, coinvolgendo gli artigiani di via Bara. Tra mostre e spettacoli, si recupera la tradizione dei pupi di farsa.

Si bruciava il vecchio e si aspettava il nuovo. Un paio di giorni prima del carnevale, si preparavano due pupazzi di paglia, ‘u nannu e a’nanna, si sistemavano su due vecchie sedie e, al tramonto del Martedì Grasso, venivano avvolti dal fuoco, con tanto di lettura del “testamento”. Era il Carnevale dei vicoli del centro storico, atteso dai bambini e adorato dai grandi: i più piccoli sciamavano finalmente per le stradine, i grandi si rimpallavano l’un l’altro, ridendo, fattacci e disgrazie del quartiere, personaggi e ‘nciurie, che poi venivano bruciati virtualmente con il testamento. Anni Cinquanta, Palermo si svegliava dopo la Guerra, si mangiava ancora poco e quasi mai la carne, ma la gente amava stare insieme e, spesso si riuniva per ascoltare l’Opra. E tra un episodio e l’altro, spesso tragici, il puparo proponeva piccole farse di qualche minuto, adatte anche ad un pubblico di ragazzini, popolate da personaggi ben conosciuti, maschere accentuate che spesso incarnavano vizi e piaceri. La gente conosceva benissimo Virticchio, Nofrio, Lisa, Tistuzza, Scricchianespula, Peppennino, Jacupu, Fusiddu, u Baruni, che non salvavano alcuna pulzella ma inducevano alla riflessione.

Per la prima volta Mimmo Cuticchio e la sua compagnia hanno deciso di organizzare il Carnevale dell’Opera dei Pupi, coinvolgendo l’intera via Bara all’Olivella, sede del teatro. Da venerdì 5 febbraio - e per tutto il mese - si apriranno le botteghe, le poche rimaste del centro storico: tornieri, orefici, giocattolai, miniaturisti, pittori, il meglio dell’artigianalità palermitana, il cuore fattivo delle sue mani. Chi vorrà, potrà parlare con gli artigiani, guardarli all’opera, scoprirne i segreti. Previsti anche due laboratori creativi di giocattoli di legno per i più piccoli. Al laboratorio Cuticchio sarà invece allestita la mostra L’Opra e le sue maschere popolari che, per la prima volta, racconta i pupi da farsa, che magari non avevano la grandezza e la maestosità dei paladini, ma i nostri nonni amavano moltissimo. In mostra alcuni pupi storici di Mimmo Cuticchio, e i ritratti su tela di Tania Giordano, che cura l’esposizione.

Il teatrino ospiterà nei quattro fine settimana di febbraio, altrettanti spettacoli di Mimmo e Giacomo Cuticchio. Il primo – sabato 6 e domenica 7 febbraio, alle 18,30 –  I Chianci a nanna – u testamentu ru nannu e da nanna, sarà un recupero delle antiche farse, ma su scala moderna: non cambia il metodo e non mutano i caratteri dei pupi, ma i temi sono legati al mondo di oggi, e trovano spazio in un copione nuovo di zecca che focalizza l’attenzione sui problemi contemporanei: la disoccupazione, il diritto alla casa, l’arte di arrangiarsi per sopravvivere, la confusione politica. Problemi drammatici affrontati da personaggi che rappresentano la gente comune, così come si faceva nell’ultimo trentennio del ’700, quando nei casotti del piano della Marina, si mettevano in scena le vastasate con i pupi di farsa e le maschere popolari che denunciavano problemi politici e sociali. Quando a decidere tutto erano i dominatori stranieri, i pupi di farsa si potevano permettere di esprimere, attraverso frizzi e lazzi, ciò che all’uomo comune era proibito. Erano la voce del popolo. Gli altri tre spettacoli in programma – “L’albero incantato della maga Sibilla”, “Ricciardetto si finge Bradamante per amore di Fiordispina”, “Ruggiero salva Ricciardetto dal rogo” – sono diretti da Giacomo Cuticchio che semplifica l’intreccio, rielaborando drammaturgicamente la storia, ma salvandone la fedeltà dei personaggi.

All’ingresso del Teatrino Cuticchio, “Pupi, pupiddi, maschere e paladini”, un pannello dipinto con buchi per i visi: un gioco delle sagome dove grandi e piccoli possono farsi fotografare e diventare Carlo Magno oppure Orlandino.

“Negli anni Cinquanta, per noi ragazzi che abitavamo tra i vicoli della città antica, la grande festa non era quella di fine anno, che ci obbligava festeggiare in famiglia. La vera festa era Carnevale, la sera del Martedì grasso, quando si bruciavano u “nannu e a nanna” con tanto di lettura del testamento – ricorda Mimmo Cuticchio - Un paio di giorni prima, gli abitanti della zona preparavano due pupazzi di paglia, che rappresentavano un vecchio e una vecchia, li sistemavano su due vecchie sedie e aspettavano il tramonto per bruciarli, non prima di avere declamato, in modo beffardo e canzonatorio, un testamento nel quale si denunciavano le cose che non funzionavano nel quartiere, facendo riferimento anche a episodi accaduti a personaggi reali. Il fuoco aveva un ruolo purificatorio: si bruciava il vecchio e tutto ciò che doveva essere rinnovato, ma emergeva anche un valore propiziatorio, del risveglio della natura. Per questo motivo vogliamo recuperare quegli anni quella tradizione, e dividerla con il nostro quartiere.  Quando aprimmo il teatrino nel lontano 1973, la strada era semi-abbandonata. Appena alle spalle delle antiche mura di Palermo, era un esempio del degrado. Sin dall'apertura del teatro, ho iniziato un percorso di rivalutazione delle pochissime botteghe artigiane che esistevano e ho sperato sempre che se ne aprissero di nuove perché la strada si identificasse in una dimensione di spazio a misura d‘uomo.  Non è stato facile e ancora oggi non lo è, le difficoltà sono enormi, gli affitti altissimi, ma la strada resiste e noi con lei”.

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