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Operazione antimafia a Bagheria, mazzette nei giornali o assegni: così si pagava - Foto e nomi

Alcuni commercianti hanno ammesso i versamenti. E uno disse: il sangue dei miei figli non se lo deve succhiare nessuno

PALERMO. C’è chi pagava il pizzo nascondendo i soldi dentro un giornale. Oppure con assegni, che poi però fece protestare per non sborsare un centesimo. E chi disse: «Il sangue dei miei figli non se lo deve succhiare nessuno». La frase che potrebbe diventare uno slogan delle associazione antiracket è stata pronunciata da Claudio Santangelo titolare di un parcheggio accanto al lido «La Capannina» di Altavilla.

Ascoltato nell’aprile 2014 dai carabinieri del nucleo operativo e della compagnia di Bagheria ha raccontato la sua esperienza con il racket, così come tanti altri commercianti e imprenditori. Una novità importante, in una zona dove l’omertà ha sempre protetto i mafiosi. Molti hanno ammesso i versamenti, altri hanno sfumato le accuse, altri ancora hanno raccontato storie non sempre limpide, perché la verità spesso non è mai bianca o nera. Ma grigia.

Nel caso di Santangelo gli stessi investigatori non sono in grado di quantificare la somma pagata, lui fornisce questa versione. «Non avrebbe mai pagato una somma a titolo di estorsione - scrivono gli investigatori -, ”il sangue dei miei figli non se lo deve succhiare nessuno ... ", ma che, al più, avrebbe potuto fare loro un "regalo", se gli avessero fatto recuperare soldi che avanzava da Tony Lepre».


L’imprenditore edile Vincenzo Bucaro ha pagato in contanti ed ha raccontato nei dettagli i versamenti. «Iniziò tutto nel 2008, Andrea Carbone di Casteldaccia mi fece una richiesta di 20 mila euro di pizzo all’anno», racconta. Poi però ottiene uno sconto, chiamando il solito amico.

 

«Contattai Vincenzo Gennaro e dopo qualche giorno mi rispose che la somma da pagare non era più di 20 mila euro ma di 5.000 all’anno - afferma -, suddivisi in 2.500 a Natale ed a Pasqua».

 

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