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Una maratona contro le barriere: Simone e papà insieme al traguardo

«La cosa che dà disagio a mio figlio è l’essere considerato disabile, mentre lui è come gli altri». L’applauso dello stadio a fine gara

PALERMO. Simone guarda sempre avanti, perché così fanno i runners. E risponde agli applausi solo dopo il traguardo, perché così fanno i campioni. C’è un caldo africano su Palermo, e un sacco di gente alla partenza della Maratona di Sicilia dallo stadio delle Palme. E lui è lì, 9 anni, un cappellino azzurro e occhiali aerodinamici, pronto a indicare la strada a papà. Solo chi non corre crede ancora che la maratona è uno sport individuale...

Simone Maniscalco e papà Salvo corrono in staffetta, sono il secondo runner. Insieme, come ogni giorno della vita. Attendono il compagno che dà il cinque e poi via, di corsa. Papà spinge la carrozzina, Simone supera la pista rossa dello stadio, gira a destra e morde l’asfalto verso la Favorita. Chilometro 2, ora si fa sul serio.Molto più seriamente di quelle scuole che ancora non hanno bagni adeguati ai disabili e personale che si dedica a chi resta indietro. Il chilometro 3 è un po’ in salita, come il quarto.

Papà Salvo spinge più forte: «La nostra vita è piena di disagi. Diventa un ostacolo anche un' auto parcheggiata nel posto riservato ai disabili o una moto che ostruisce lo scivolo per le carrozzine. È sempre così a Palermo. Noi abbiamo tanta ener gia, è il mondo che ci circonda che non ci aiuta».
Ma in maratona non si deve pensare agli ostacoli. Si tiene sempre duro. Il quinto chilometro vola via in discesa, il sesto è un' altra salita in un viale pieno di alberi. È una strada lunga e dritta. Simone quasi non ci crede: «Wow, papà, è un' avventura».
Sì, non molto più dura di tante altre: «Simone ha un problema dalla nascita, non riesce a camminare. Ma è intelligentissimo, socievole. E il fatto che non riesca a fare cose che fanno altri bambini non vuol dire che non le desideri» quasi urla papà Salvo. Che ha dedicato ogni momento della sua vita a spingere Simone. Però arriva un giorno in cui anche chi rischia di restare indietro deve provare a stare nel gruppo. È così nella corsa, sarà così nella vita. «È importante socializzare - papà Salvo si fa serio perché un bambino non può stare sempre con gli adulti. Eppure abbiamo avuto difficoltà a trovare una scuola che accogliesse Simone per il Tempo d' estate, la serie di eventi per i bimbi in vacanza.
A volte il problema erano le barriere architettoniche, altre volte la mancanza di personale. Qualcuno ci ha proposto di accoglierlo lasciandolo sempre in classe, costringendolo a rinunciare ai giochi in cortile. Ma noi non chiediamo compassione. Quello che mette più a disagio Simone è essere visto e pensato come "diverso" quando lui invece si pensa e vorrebbe essere visto come gli altri». Perché Simone può fare tutto quello che fanno gli altri bambini. E può fare anche di più, una maratona.
Che quando sembra finita ti mette davanti a una salita da cuore in gola: «Bisogna vivere sempre al meglio - è l' appello di papà Salvo- e questa città va educata alla diversità. Stando con Simone tutti i giorni scopri che la diversità la creano e la vedono gli altri. E che ci vuole un coraggio enorme ad affrontare la vita come fa lui, sempre col sorriso».
È in gara, Simone. Le gambe sono quelle di papà ma il resto è la sua vita: «Nella quotidianità non lo prendo mai in braccio, perché il suo sguardo sarebbe rivolto indietro, in modo innaturale.
Scelgo sempre di metterlo sulle spalle, così guardiamo nella stessa direzione».
Avanti. Senza mollare mai. Perché dopo l' ultima salita c' è una discesa e poi una curva e si vede l' ingresso dello stadio. C' è tanto pubblico e incita chi è orgogliosamente piegato dalla fatica. Gli ultimi cento metri, il traguardo già si vede. Simone si guarda intorno: «Papà perché ci applaudono?».

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