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In scena a Palermo un "Macbeth" ecologico e simbolico - Foto

PALERMO. Un Macbeth calato nella natura, l’unica forza che riesce a combattere l’ambizione sfrenata dell’uomo. Un Macbeth con costumi e scene che pescano tra cortecce, semi, piante, foglie. Re Duncan richiama il cipresso, l’albero dei morti; Lady Macbeth è accostata all’edera, che può stringere fino a soffocare; Banquo rimanda al melograno, simbolo di amicizia. E’ il nuovo esperimento del puparo e cuntista Mimmo Cuticchio che ha deciso di avvicinare ancora una volta – è la terza – la tragedia shakespeariana. Cuticchio al dramma ha già dedicato due spettacoli: “Macbeth per pupi e cunto” nel 2001, realizzato con attori e pupi costruiti appositamente ad altezza d’uomo; e “Quella storia scozzese”, l’anno successivo, che si sviluppava nell’impianto tradizionale del classico teatrino dei pupi. A distanza di 13 anni, eccolo tornare a rileggere Shakespeare:

“Una corona sporca di sangue” – che debutta mercoledì 27 maggio nella ex chiesa di San Mattia, nel cuore storico di Palermo - è un ulteriore passo nella tragedia, ma anche una nuova sperimentazione: a partire dalla tradizione del Teatro dei Pupi, Cuticchio reinventa e riadatta, per costruire un suo percorso nella scena contemporanea. La parola di Shakespeare attiva l’immaginario creativo del puparo, intorno ad essa si costruiscono scene e azioni popolate da attori e dai pupi che essi manovrano, in un rapporto dialettico tra interpreti in carne ed ossa, e marionette. Tagli, adattamenti, trasformazioni del “copione”, restituiscono tuttavia il senso del messaggio shakespeariano, senza tradirne il testo ma calandolo nella specificità del linguaggio del Teatro dei Pupi.

"Una corona sporca di sangue" nasce da quattro laboratori su drammaturgia, manovra, recitazione nell’Opra, e il cunto che Mimmo Cuticchio ha tenuto in periodi successivi per 20 attori-narratori, a cui sono affiancati in scena l’attrice Paola Pace (lady Macbeth), e il musicista Lelio Giannetto, un “contrabbasso parlante”.

“Possente, misterioso, folle, il Macbeth di Shakespeare mette in scena la forza distruttrice di un’ambizione sfrenata. I due protagonisti usano la violenza per raggiungere i propri scopi in un crescendo che non riescono più a controllare e che determinerà il loro destino – spiega Mimmo Cuticchio - Le tre streghe rappresentano le forze sovrannaturali, risvegliano l’ambizione nascosta del barone di Glamis avvelenando il suo animo. Sopraffatto dalla smania di potere, con la complicità della moglie, sua alleata e istigatrice nel piano che dovrebbe condurlo sul trono di Scozia, Macbeth agisce contro natura. Le forze diaboliche si impadroniscono di entrambi, allucinazioni e visioni contribuiscono a sovvertire l’ordine delle cose, mentre il loro amore si sfalda sotto il peso dei titoli e della corona conquistati attraverso il delitto”. Il Regno di Scozia sprofonda in un’oscurità perenne. La profezia delle streghe, che non rappresentano soltanto spiriti maligni ultraterreni, ma manifestazioni deformi di questo mondo, testimonia l’esistenza di un luogo remoto, nel quale albergano demoni in grado di rendere la natura stessa “innaturale”. Ogni volta che Macbeth entra in contatto con le streghe, scivola sempre più nel baratro della follia. La convinzione di avere il destino dalla sua parte lo fa sentire invulnerabile, e questa sensazione lo condurrà verso la distruzione.

La profezia delle streghe vuole che Macbeth soccomba per mano di un uomo non nato da donna e che ciò avvenga nel momento in cui la foresta di Birnam muoverà contro Dunsinane. E’ un inganno delle streghe: MacDuff è venuto al mondo anzitempo con un taglio cesareo e gli alberi di Birnam sembrano muoversi perché i soldati avanzano mimetizzati con tronchi segati. “I personaggi emergono come rappresentazione negativa della condizione dell’uomo di oggi, in balia delle incertezze e dei conflitti che non riesce a risolvere – continua Cuticchio . Il male avanza nel caos con incontrastata celerità, sino al finale in cui viene denunciata la violenza insita nel potere ma anche la nascita di un mondo nuovo, con un nuovo re, elemento costruttivo all’interno di una vicenda così disperata. La storia di Macbeth è la parabola di un uomo in balia di forze maligne della natura, che egli si illude di poter controllare e che invece lo schiacceranno, spiritualmente e fisicamente”.

I costumi “naturali” del Macbeth . Gli elementi della natura sono determinanti nel Macbeth, sia come spiriti sovrannaturali sia come paesaggio. Tania Giordano ha realizzato costumi con precisi dettagli che alludono alle caratteristiche di alcune piante, alle virtù e ai rimedi che si attribuiscono loro. Un esempio: un particolare innestato nell’armatura di Re Duncan richiama il cipresso, tradizionalmente considerato l’albero dei morti; e l’alloro, simbolo dell’onore e della gloria; Lady Macbeth è accostata all’edera, pianta avvolgente, bellissima, ma che può stringere fino a soffocare; un elemento nel costume di Banquo rimanda al melograno, simbolo di amicizia e fecondità, mentre per il sicario che lo uccide, fiorisce un elemento del tasso, l’albero della morte. I costumi e la scena sono realizzati con scarti di fogliame e cortecce d’albero, materiale organico secco e improduttivo, così come secca e sterile è la coppia sanguinaria che l’assenza di prole priverà di immortalità. “L’accostamento tra uomini e organismi vitali non è nuovo nel mio teatro – spiega Cuticchio -; ne “L’urlo del mostro”, nel 1989, abbinavo il carattere di paladini e saraceni ai nomi dei pesci. Come avviene in tutti gli spettacoli di Cuticchio, anche su questa rilettura del Macbeth si innesta la tecnica e il sapere dell’Opra: i pupi interagiscono con gli attori, alcuni dei quali interpretano più personaggi.

Nel corso dei laboratori e durante le prove dello spettacolo, Cuticchio ha sempre cercato di trasmettere la sua esperienza artistica, come stimolo e fondamento del rapporto tra pupi e attori. “Il mio obiettivo è quello di far comprendere agli interpreti le enormi potenzialità espressive dei pupi, che io considero veri e propri attori al pari di quelli in carne e ossa – continua Mimmo Cuticchio - Durante il laboratorio, gli attori “scoprono” il pupo come strumento espressivo dotato di una sua carica emotiva. Alla base del lavoro teatrale c’è il riconoscimento della soggettività della marionetta, che contribuisce ad accrescere l’identità e il carattere del personaggio. In certi momenti l’attore riesce ad esprimere, attraverso il pupo che muove, sfumature espressive di tale intensità, che non riuscirebbe ad ottenere se restasse sempre legato alla recitazione tradizionale. Il pupo diventa la proiezione dei sentimenti e delle passioni del personaggio che l’attore interpreta. Anche se può sembrare paradossale, la marionetta – sulla scia di Gordon Craig – riesce spesso a cogliere quella dimensione trascendentale della vita che l’attore, per le sue imperfezioni, le implicazioni emotive e i vizi professionali, fatica a raggiungere. La presenza del teatrino tradizionale, in un momento dello spettacolo, contribuisce a raggiungere quello straniamento che i pupi sono capaci di apportare nel teatro epico, rendendo più forti e credibili i momenti cruenti e restituendo perfettamente il clima della tragedia”.

La messinscena di “Una corona sporca di sangue" guarda ad Orson Welles, nel centenario della nascita (maggio 1915) e nel trentennale della sua scomparsa (ottobre 1985), che coincide, per un caso assolutamente fortuito, con quella del cavalier Giacomo Cuticchio, padre di Mimmo.

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