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Chirco: «Tra i viali e le fontane viene conservata la storia della nostra città»

La prima villa pubblica a Palermo, una delle primissime in Europa. Negli anni in cui la nobiltà cittadina prendeva il fresco nelle ville della Piana dei Colli o al massimo, passeggiava in carrozza lungo la strada Colonna (l’attuale Foro Italico), e le Vedove (le Cattive) si mostravano sulle Mura, il pretore e governatore della città, Antonio La Grua tra il 1777 ed il 1778, fece costruire Villa Giulia che prese il nome da Giulia d’Avalos, moglie dell’allora viceré Marcantonio Colonna (omonimo di quello del XVI secolo). Insomma, fu il primo luogo per il popolo: quella stessa Villa Giulia che oggi giace nel degrado, fu il primo centro d’aggregazione cittadino per i non abbienti, l’unico illuminato. Lo ricorda Adriana Chirco, storico dell’arte e storica della città, autrice di diversi libri su angoli conosciuti e sconosciuti della città.

«Da piccina a Villa Giulia andavo in bicicletta, affittata da un omino che era sempre lì, con qualsiasi tempo - ricorda Adriana Chirco - . La Villa nacque in un secolo in cui la nobiltà tendeva ad arricchire le sue residenze e a rendere magnifico il centro storico».

La Villa fu costruita al di là delle mura, al termine di quella porta Carolina che chiudeva il mandamento storico e di cui restano ancora i piloni inglobati negli edifici. Ma perché la costruirono?

«Villa Giulia fu quasi un completamento della Marina, la prima ad avere dei palchetti della musica (prima di quelli disegnati da Almeyda) dove la gente poteva ascoltare concerti gratuitamente. Il suo ingresso principale era dal mare, soltanto in seguito fu aperto un cancello su via Lincoln, in linea con la via Butera che finiva alle mura».

Fu anche costruito l’attuale slargo ad esedra (dove oggi si affaccia il bar Rosanero, per intenderci) per consentire alle carrozze di invertire la marcia. Da Villa Giulia si guardava al mare.

«Dobbiamo considerare che oggi il litorale si è spostato in avanti di circa 200 metri: fu l’effetto delle macerie dei palazzi sventrati dalla guerra, poi gettate in mare. Tra il cancello di Villa Giulia e l’acqua, correva la Passeggiata, c’erano le “barchesse”, lunette che sporgevano sul mare e permettevano la sosta. Il porticciolo di Sant’Erasmo esisteva già, lì andavano a stendere le reti i pescatori della Kalsa».

Ma Villa Giulia sorse su un luogo di dolore. Quasi un simbolo per dimenticare.

«Fino a pochi anni prima era uno dei piani in cui si svolgevano gli autodafé della Santa Inquisizione. Il Tribunale fu eliminato nel 1782, quattro anni dopo la costruzione della Villa: fu anche un modo per esorcizzare il tormento dei ricordi».

Dentro la Villa, monumenti, fontane, aiuole disegnate ad arte. Ma anche un polmone verde, l’unica villa in cui le Washingtonia hanno resistito al punteruolo rosso.

«Quasi ogni dieci anni, qualcuno metteva mano alla Villa per abbellirla; il disegno fu affidato a Nicolò Palma che organizzò un giardino all’italiana particolare: un quadrato, e un rombo al suo interno, poi due cerchi concentrici. Tutti i viali furono adornati da sculture in marmo, ed erano illuminati, cosa questa che, in una città interamente al buio, era una grande novità. Ignazio Marabitti le regalò la fontana del Genio, che oggi è collocata in una posizione che sembra defilata, ma in effetti è lungo l’asse principale che dal mare conduce all’Orto Botanico, collegato alla Villa con un cancello ancora esistente. Marabitti firma anche le statue della Gloria e dell’Abbondanza, mentre le altre due vengono da piazza Sant’Anna e facevano parte del monumento a Carlo III, oggi scomparso. Nel 1866 vennero eretti i padiglioni a conchiglia, quasi un altoparlante naturale, poco oltre “L’orologio del Dodecaedro” che su ogni faccia ha un orologio solare, e nacque su progetto del matematico Lorenzo Federici. Attorno alla fontana dell’Atlante c’è una ringhiera decorata da colonnine e puttini deliziosi».

L’Orto Botanico è praticamente attaccato a Villa Giulia.

«Il simbolo dell’istituzione accademica: nella stessa zona, insistevano nobiltà, borghesia e università. E visto che nell’Orto dovevano essere impiantate specie esotiche, si sperimentarono anche a Villa Giulia. I lampioni vengono dalla Fonderia Oretea dei Florio, in uno dei laghetti c’è una statua di Civiletti… insomma la storia di Palermo è tutta qui. Poi negli anni ’40 arrivarono lo zoo e il malinconico leone Ciccio… ma quella è un’altra storia».

Che è un dovere recuperare.

«Villa Giulia appartiene alla città: ricordo quando, durante una delle prime edizioni di Palermo adotta un monumento, con l’Ipsia Ascione organizzammo a Villa Giulia una rassegna teatrale che vide in scena tantissimi ragazzi. Dobbiamo prima di tutto considerarla nostra: i palermitani devono per prima cosa capire che ciò che è pubblico, appartiene ai cittadini. Villa Giulia ha mille piccoli angoli, una sua storia, è un luogo di serenità. È un dovere apprezzarla, ma soprattutto difenderla».

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