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Chiamò "pizzaiolo" un avvocato, chiesti a Sgarbi 200 mila euro di risarcimento

La controversia, che sarà giudicata il 22 aprile dal tribunale di Termini Imerese, contrappone il critico d'arte all'avvocato Massimo Punzi, marito del sottosegretario Simona Vicari (Ncd)

PALERMO. È offensivo definire qualcuno un «pizzaiolo» per esprimere una critica politica? È tutto qui il senso di una controversia che oppone Vittorio Sgarbi con l'avvocato Massimo Punzi, marito del sottosegretario Simona Vicari (Ncd).

La qualifica di «pizzaiolo» sfuggì a Sgarbi nel pieno di un'infuocata campagna elettorale a Cefalù (Palermo) nel 2012. Punzi reagì citando il critico in giudizio e chiedendo un risarcimento di 200 mila euro. Il caso sarà valutato dal giudice Teresa Ciccarello del tribunale di Termini Imerese nell'udienza del 22 aprile.  Sgarbi non si limita a difendere il suo «diritto di critica anche attraverso la caricatura».

A sua volta, con una domanda riconvenzionale, chiede di essere risarcito perchè avrebbe ricevuto da Punzi messaggi da lui ritenuti offensivi. Tutto è cominciato nel marzo 2012 quando Simona Vicari invitò il critico nella sua casa di Cefalù per la presentazione della sua candidatura come sindaco per uno schieramento di centro-destra. La proposta non ebbe seguito. Di quella serata Sgarbi ha poi ricordato, in un comizio in piazza, che il marito della senatrice Vicari preparò alcune pizze. E per questo lo definì un «pizzaiolo». Anche perchè, aggiunge ora, «non sapevo quale attività svolgesse».

«Ma comunque - puntualizza ancora il critico - non credo che sia offensivo chiamare qualcuno pizzaiolo. Mi conforta in questo convincimento la raccolta di 300 mila firme a sostegno della candidatura della pizza come patrimonio immateriale Unesco. Dunque, un bene dell'umanità». Quanto alla richiesta di 200 mila euro Sgarbi sostiene che rivela una «carenza del senso delle proporzioni: la mia era una caricatura adoperata in un confronto politico, e nulla più».

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