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Mafia, il pentito: «Così punivamo chi non pagava»

I retroscena dei 7 fermi dei carabinieri. «Dovevo costringere chi non accettava le nostre imposizioni. Difesi anche una persona a cui volevano togliere la casa»

PALERMO. Un «lavoro» fatto di estorsioni, bastonate, problemi da risolvere. Sempre fianco a fianco con gente ritenuta associata a Cosa Nostra, dunque con un margine di errore inesistente. Una vita da cui Salvatore Sollima, neocollaboratore di giustizia, è voluto scappare. È stato lui uno dei principali artefici dell'operazione Jafar, eseguita mercoledì dai carabinieri del Comando provinciale, con sette persone arrestate, tutte appartenenti al mandamento mafioso di Misilmeri-Belmonte Mezzagno.

I sette coinvolti sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione e minaccia, reati tutti aggravati dal metodo e dalle finalità mafiose.

I sette fermati sono Giuseppe Vasta, 65 anni, reggente del mandamento mafioso di Misilmeri-Belmonte Mezzagno; Filippo Salvatore Bisconti, 55 anni, reggente della «famiglia» di Belmonte Mezzagno; Pietro Cireco, 75 anni, reggente della famiglia di Bolognetta; Giovanni Ippolito, 48 anni; Aristide Neri, 36 anni; Antonio Pirrone, 46 anni e Alessandro Ravesi, 38 anni.

Tra i collaboratori di giustizia che hanno permesso ai militari di compiere l'operazione, Sollima, 43 anni, è l’ultimo arrivato. Nelle sue prime dichiarazioni, risalenti al 24 febbraio, nel fermo eseguito dai carabinieri del Nucleo investigativo, disposto dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci, coordinatore del pool che si occupa della mafia dell’entroterra provinciale, e dai sostituti procuratori Francesca Mazzocco e Alessandro Picchi, Sollima ha raccontato diversi episodi risalenti ai tempi della sua appartenenza a Cosa Nostra.

Estorsioni, minacce, richieste di «aggiustare le cose». Episodi che hanno fatto capire agli inquirenti il modo di operare nei mandamenti di Misilmeri e Belmonte Mezzagno.

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