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Le vittime del pizzo denunciano: 7 fermi tra le cosche di Misilmeri e Belmonte - Nomi, foto e video

Tratti in arresto, tra gli altri, il vertice del mandamento e i reggenti delle famiglie mafiose di Belmonte Mezzagno e Bolognetta

PALERMO. Sono tornate di moda le maniere forti in Cosa nostra, almeno nelle intenzioni dei reggenti del mandamento mafioso di Misilmeri-Belmonte Mezzagno, nel Palermitano, finiti in cella questa notte assieme a "soldati" e "colonnelli" nell'operazione Jafar che ha portato al fermo di sette persone tra cui Giuseppe Vasta, presunto reggente del mandamento, Filippo Bisconti, reggente del clan di Belmonte, e Pietro Cireco, reggente della cosca di Bolognetta.

Del ritorno a una "mentalità stragista" aveva parlato il pentito di Bagheria, Antonino Zarcone, a proposito dei progetti dell'ex reggente del mandamento Franco Lo Gerfo (arrestato nell'operazione Sisma e condannato a 18 anni in primo grado). Secondo il collaboratore, prima di finire in carcere Lo Gerfo stava cercando di coinvolgere gli esponenti di vertice degli altri mandamenti mafiosi per uccidere una guardia penitenziaria e un poliziotto e "reagire allo Stato".

 

"Il Franco - racconta Zarcone ai pm - lamentava sta situazione di stu maltrattamento dicendogli a Tonino Messicati Vitale che l'autorità si stavano prendendo ormai troppo lusso diciamo... ha una mentalità lui molto... non dico antica, però... a livello stragista. Voleva, voleva ritornare ai vecchi sistemi e iniziare a reagire perché non si poteva più sopportare una situazione del genere, di avere questi soprusi". Addirittura si pensa a uccidere "a caso, a chiunque - dice Zarcone - abbia la divisa: carabinieri, polizia... basta, a caso".

Il pugno duro era condiviso anche dal successore di Lo Gerfo, Giuseppe Vasta coadiuvato da tre colonnelli: Alessandro Ravesi, Giovanni Ippolito e Aristide Neri. Era stato pianificato il pestaggio di un commerciante e il sequestro di un albergatore che non aveva ceduto alla richiesta di pizzo. Le estorsioni, infatti, continuano ad alimentare il tesoretto con il quale vengono sostenuti affiliati liberi e soprattutto i carcerati. I carabinieri, coordinati dai pm Alessandro Picchi e Francesca Mazzocco, hanno accertato cinque estorsioni a commercianti e imprenditori che hanno ammesso le richieste estortive e dato un contributo rilevante alle indagini. Pagavano tutti, a tappeto. Anche gli stessi affiliati se volevano costruire in un territorio "governato" da qualcun altro.

E' quello che succede a uno degli arrestati, Filippo Bisconti che si è trovato costretto a rivolgersi al reggente di Villabate, Tonino Messicati Vitale. Un incontro che, come racconta Zarcone, non è andato a buon fine. Messicati Vitale, avrebbe infatti sentenziato che se Bisconti si fosse presentato sul suo territorio per eseguire dei lavori con le proprie imprese, avrebbe dovuto pagare come un qualsiasi altro imprenditore "e forse più degli altri". A dare un contributo alle indagini è stato anche un nuovo collaboratore di giustizia, Salvatore Sollima, di Bagheria, che ha intrapreso un percorso di collaborazione da libero. Le sue dichiarazioni confermerebbero quanto già detto da altri pentiti bagheresi.

 

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