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Liliana Moro a Palermo, anima e pelle dell’arte

PALERMO. Leggere e rileggere fino a quando l’essenza traspare: prima è impossibile, basta un semplice accento per cambiare tutto: capita così per Àncóra, la nuova mostra di Liliana Moro che da ieri è in corso alla galleria Francesco Pantaleone arte contemporanea. La Moro aveva già esposto da Pantaleone nel 2008, nell’ambito di un progetto di residenza di cinque giovani. Adesso l’artista milanese ritorna e dopo la precedente Canile, propone questa Àncóra, esposizione dal titolo ambivalente curata da Agata Polizzi.

Tutto si basa sulla lettura molteplice che si può dare ad ogni cosa, frase, oggetto, installazione: la relazione tra interno ed esterno, è il tratto distintivo della ricerca dell’artista, formatasi a Brera, e insieme metafora del nostro essere nel mondo. Suono, parole, video, sculture, oggetti e performance, compongono un modus, che «mette in scena» una realtà, allo stesso tempo, cruda e poetica.

In questo caso, si tratta di pezzi rigorosi che si compongono in ricette contemporanee, luci psichedeliche che compongono parole. «Àncóra è un progetto calibrato sullo spazio, una messa in atto di oggetti intesi come materializzazione di “visioni” — scrive Agata Polizzi — presenze che occupano un posto preciso, tracce di qualcosa che non si vede. Un lavoro di alternanza costante tra il vuoto e il pieno, tra il buio e la luce, tra il movimento e la stasi, tra il tutto e il nulla». Asciutta e controllata allo stremo, Liliana Moro si affida alle forme, che guarda senza alcuna emozione. Rotonde, luminose, lucide, poco importa: le forme esistono, e vanno organizzate per arrivare al fine. Anche un oggetto che ha già un suo significato, come la ciambella di salvataggio o camera d’aria — sinonimo di sicurezza e salvezza, aggancio, forza e disperazione insieme — diventa un oggetto spiazzante, pesante, senza vita, un macigno, che trattiene una verità invisibile.

Salvagente che non salva gioca sul contrasto, come Àncóra gioca sulle parole e sugli accenti. Liliana Moro chiude la mostra con una coda, un epilogo che si riferisce ad un’esperienza collettiva. «Una serie di quattro collage in cui la purezza spietata delle immagini, stordisce», scrive la Polizzi. Istantanee tratte dalla cronaca e dalla storia, dalla vita. Immagini crude che, sottratte alla distrazione, diventano algide. Liliana Moro raggela con una narrazione tutta sua, rigorosa, ma fredda e impassibile, che non lascia morti sul campo né fa prigionieri in cella. La mostra resterà ospite della galleria fino all’1 maggio, dal lunedì al sabato dalle 18 alle 21.

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