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Giorgio Albertazzi, un "Mercante" senza tempo

PALERMO. «Siamo nella Venezia razzista, capitale commerciale tra Oriente ed Occidente, ma che non accetta gli ebrei e gli stranieri, la stessa che non amava Otello, ma che oggi dividerebbe il suo antisemitismo con molte altre regioni». Giorgio Albertazzi non pontifica di certo, ma dall’alto dei suoi novant’anni e passa, guarda attorno con un’ironia leggera, quasi da professore che insegna al resto del mondo. Leggero lui, come sempre, anche se si restringe sotto la Kippah tipica degli ebrei, quando veste i panni lugubri e strascicati dello strozzino veneziano più famoso del mondo teatrale.

Nelle vesti di Shylock ne Il mercante di Venezia, l’attore fiorentino era atteso a fine novembre al Teatro Al Massimo ma un malore lo ha costretto a rinviare l’appuntamento. Che viene recuperato da stasera (alle 21,15) per un’intera settimana di repliche. Tre ore e passa per uno dei lavori più conosciuti di Shakespeare che Albertazzi ha personalmente adattato, mentre la regia l’ha voluta affidare a Giancarlo Marinelli.

Nel cast, l’elegante Franco Castellano è il nobile Antonio, amico di Bassanio (Francesco Maccarinelli) a sua volta innamorato della scaltra Porzia (Stefania Masala); sarà Antonio il contraltare del ricco ebreo che, quando il nobile non riuscirà a far fronte al debito, chiederà di essere pagato con una sua libbra di carne. Sul palco anche Paolo Trevisi, Diego Maiello, Ivana Lotito, Cristina Chinaglia, Simone Vaio e Vanina Marina.

Marinelli ha immaginato Venezia «simile ad una spiaggia della California, con ragazzi bellissimi, donne sinuose come sirene, moto (scafi) che alzano la sabbia e le onde, un senso continuo di vertigine, una perpetua vacanza. E questi ragazzi veneziani fanno continuamente ciò che io, ogni volta che approdo in Laguna, vorrei fare: il bagno. Li vedo sempre umidi e seminudi, distesi al sole; anfibi verticali che sbracciano e abbracciano la città». Shylock è invece la perfidia e il dogma, in sintesi, la notte. «Albertazzi ha fatto del Mercante un perfetto ibrido che sembra ora scritto da Strindberg e ora da Sartre, passando per la lussuria di Baffo e per i giocosi azzardi di Goldoni — spiega ancora Marinelli —. Ha subito capito, che qui l’alba e il mattino, e il tramonto e la sera, sono di fatto non distinguibili».

Ed è lo stesso Giorgio Albertazzi a spiegare come «siamo nella Venezia razzista, capitale commerciale tra Oriente ed Occidente, ma che non accetta gli ebrei e gli stranieri, la stessa che non amava Otello, ma che oggi dividerebbe il suo antisemitismo con molte altre regioni; se fosse nato in questi anni, il mio strozzino Shylock sarebbe un elegante banchiere, un uomo solo in una modernissima comunità di perdenti; il suo scontro con Antonio naviga sul filo della parola, dei soldi, della vita. Ne viene fuori un ritratto a forti tinte di una persona diversa, al centro di un conflitto: Shylock non sarà più lui dopo il tradimento della figlia Jessica, della sua razza e della famiglia».

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