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I boss intercettati: "Le mogli dei detenuti devono lavorare"

Si tratta di storie già conosciute ma che hanno trovato ulteriori conferme grazie alle intercettazioni registrate nell'ambito dell'operazione "Apocalisse 2"

PALERMO. Lavoro e soldi. Di questo si compone la nuova mafia delle estorsioni di Cosa Nostra. I boss, oltre al pizzo, impongono anche persone da far assumere. Come ricostruito nelle pagine del Giornale di Sicilia in edicola oggi, all'indomani dell'operazione Apocalisse 2 che ha portato in carcere 27 persone accusate di estorsioni e mafia (GUARDA TUTTE LE FOTO DEGLI ARRESTATI).

Si tratta di storie già conosciute ma che hanno trovato ulteriori conferme grazie alle intercettazioni registrate nell'ambito del blitz di polizia, carabinieri e finanza che ha coinvolto anche il consigliere comunale palermitano Giuseppe Faraone.

Tra queste le più significative sono quelle che raccontano le vicende di due ditte di pulizia, la «Ipa srl» e «La Perla srl».  Nel primo caso si tratta dell’azienda che ha vinto l’appalto per le pulizie allo stadio, nel secondo quella che si occupa della clinica Maddalena.

Il titolare della "Ipa" - sentito il 26 giugno e il 9 dicembre - ha dovuto assumere una decina di donne, la maggior parte delle quali aveva il marito in carcere. "Non ho mai ricevuto richieste di denaro - ha sottolineato il titolare al termine della deposizione -. L'unica richiesta è stata quella di "assumere del personale che non avrei mai assunto se non avessi avuto le pressioni da parte di soggetti che avevano manifestato la loro appartenenza all'organizzazione mafiosa".

Mentre non esaudì le richieste della mafia il proprietario de «La Perla». Pochi giorni dopo l'incontro con uno dei taglieggiatori, il titolare trovò davanti al cancello una bottiglia di benzina con un accendino. Chiaro segnale del cambiamento di comportamento da parte di Cosa Nostra davanti al rifiuto di assumere il suo "personale".

Gli incontri del titolare dell'Ipa srl con i mafiosi, invece, sono numerosi. A verbale l'imprenditore ha dichiarato che, dopo avere iniziato a lavorare allo stadio, venne contattato da un certo «Giuseppe». «L'uomo, allora, cominciava a parlargli in maniera equivoca - scrivono i giudici -, facendo riferimento ad altri che chiedevano il pizzo alle imprese non tenendo conto dell'attuale crisi economica, ponendosi lui su un piano differente atteso che gli sembrava più opportuno chiedere dei posti di lavoro per la gente bisognosa. Infatti, a quel punto l'uomo chiedeva se vi era la possibilità di fare lavorare presso la sua impresa del personale che lui avrebbe segnalato, a suo dire soggetti che ne avevano urgente bisogno».

Fu quello stesso "Giuseppe" a "fargli avere nomi e curricula di alcune donne, sottolineando che alcune di loro avevano i mariti detenuti". "Nell'occasione gli forniva un biglietto da visita dell'officina - continuano gli inquirenti -, ed in quel frangente apprendeva che l'uomo si chiamava Giuseppe Fricano. Dopo qualche giorno dall'incontro con Fricano, un soggetto presentatosi come Giovanni, per conto di "Giuseppe", gli portava in ufficio i curricula di due o tre donne, che di seguito assumeva».

Pochi mesi dopo, si presenta un certo "Silvio" (per l'accusa Silvio Guerrera). «Durante tale incontro Silvio gli chiedeva se vi era la possibilità di fare lavorare alcune persone presso la sua impresa - scrivono i magistrati. L’imprenditore gli rispondeva che già aveva dato dei posti di lavoro a Giuseppe Fricano, ricevendo come risposta che Fricano era un loro "fratello", ma gli faceva intendere che in quel momento era stato messo da parte e che comunque avrebbe dovuto fare capo a lui». Dopo quel primo incontro, ne segue un altro nei pressi del vivaio all’Addaura. «Sul posto trovava Silvio in compagnia di un altro uomo - si legge nel provvedimento -.

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