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Pizzo ad avvocati, un palermitano condannatato a 5 anni

Pietro Urso si era presentato in diversi studi legali per chiedere soldi «per i carcerati»: era scattata la denuncia e poi l’arresto. All'imputato, che avrebbe seri problemi di tossicodipendenza, non è stata contestata l'aggravante di aver favorito Cosa nostra

PALERMO. Si sarebbe presentato in diversi studi legali della città, compreso uno dei più noti e in pieno centro, quello dell'avvocato Nino Caleca (ora anche assessore regionale all'Agricoltura), per chiedere soldi «per i carcerati». Ieri mattina, Pietro Urso - che era stato arrestato a luglio scorso proprio grazie alla denuncia di Caleca e del collega Roberto Mangano - è stato condannato a cinque anni di reclusione, con il rito abbreviato, per tentata estorsione, dal gup Luigi Petrucci. Nel processo, in rappresentanza di tutti i legali, si è costituito parte civile l'Ordine degli avvocati, difeso dal penalista Giovanni Di Benedetto. All'imputato, che avrebbe problemi di tossicodipendenza ed avrebbe agito - al di là delle sue affermazioni - da cane sciolto, non è stata contestata l'aggravante di aver favorito Cosa nostra.

In base alla ricostruzione della Procura, Urso si sarebbe presentato in cinque studi legali della città nei primi mesi di quest'anno, pretendendo dagli avvocati che versassero una somma per aiutare i detenuti. Erano state presentate delle denunce ma senza riuscire ad identificare l'autore l'estorsore. Tra giugno e luglio scorsi, però, Urso avrebbe fatto il passo più lungo della gamba: si sarebbe presentato per ben tre volte nello studio di Caleca, dove lavora anche l'avvocato Mangano.

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