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"Chiesero il pizzo a un gioielliere", a giudizio 6 mafiosi di Porta Nuova

Il processo comincerà il 3 marzo davanti alla quarta sezione del tribunale. L'estorsione si sarebbe protratta per 15 anni

PALERMO. Per anni hanno taglieggiato un gioielliere palermitano chiedendoli il pizzo. Il commerciante ha pagato e rischiato una condanna per favoreggiamento: l'inchiesta a suo carico è stata archiviata. La vittima ha poi deciso di denunciare. Oggi il gup Agostino Gristina ha rinviato a giudizio sei mafiosi con l'accusa di estorsione.

Si tratta di Antonino Rizzuto, Vincenzo Di Maria, Francesco Mulè, Giovanni Battista Marino, Tommaso Lo Presti e l'ex collaboratore di giustizia Marcello Fava, tutti esponenti del clan di Porta Nuova.

Il processo comincerà il 3 marzo davanti alla quarta sezione del tribunale. L'estorsione si sarebbe protratta per 15 anni. E il commerciante avrebbe sempre pagato: a volte in contanti, a volte in gioielli.

Proprio nei giorni scorsi il tribunale di Palermo, presieduto da Vittorio Alcamo, ha condannato a oltre 148 anni di carcere altre 16  persone imputate nel processo nato dall'operazione antimafia «Pedro» che, nel 2011, ha azzerato il clan mafioso di Porta Nuova.

Le accuse erano, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, traffico di droga. Tre gli assolti: Nunzio La Torre, Maurizio Pecoraro, difeso da Angelo Formuso e Raffaele Bonsignore, e Agostino Catalano.

La pena più alta, 20 anni, è toccata a Daniele Lauria; 19 anni ha avuto Ivano Parrino, 16 Antonio Lo Iacono, 14 Francesco Chiarello, 12 Rodolfo Allicate e Giuseppe Auteri, 10 Cristian Mancino, 9 Vincenzo Coniglio.

Domenico Marino è stato condannato a 8 anni, Giovanni Giammona, che secondo gli inquirenti era il pusher che forniva droga sul set della fiction «Squadra Antimafia Palermo Oggi», a 3 anni e 6 mesi.

Giuseppe Di Marco ha avuto 6 anni, Giuseppe Migliore 5 anni e 4 mesi, Matteo Ravetto 5 anni, Giustino Rizzo 3 anni, Giusto Gagliano 3 e Salvatore Sampino 2 anni e 6 mesi.

I pm Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco avevano concluso la requisitoria a giugno, ma il pentimento del boss Antonino Zarcone, ha indotto la procura a chiedere la riapertura del dibattimento per sentire il collaboratore di giustizia che ha confermato le accuse nei confronti degli imputati.

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