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«Villa Giuditta non è dei clan»: i giudici la dissequestrano

Il riesame accoglie la tesi della difesa: il gestore aveva denunciato estorsioni, che il locale non avrebbe subito, se fosse stato dei boss di Bagheria

PALERMO.  Pur avendo accusato il suo estortore, contribuendo alla condanna di Giovanni Vitale, alias il Panda, Michelangelo Maurizio Lesto, gestore di Villa Giuditta, aveva subito il sequestro dell’attività, ritenuta di fatto appartenente ai boss: ora però il tribunale del riesame ha dissequestrato lo storico locale, rilevando la contraddizione in termini tra la denuncia presentata dal titolare e il sequestro, con l’ipotesi di infiltrazioni mafiose, di un’attività gestita da quella stessa persona.
Il provvedimento è stato adottato dal collegio presieduto da Giacomo Montalbano, relatore Giuseppina Di Maida, che ha deciso su rinvio della Cassazione: il 6 giugno scorso, infatti, la Suprema Corte non si era convinta della compatibilità delle due situazioni e aveva annullato con rinvio. Questo perché le indagini risultavano frammentarie e le intercettazioni «oggettivamente confuse» e non sufficienti per giustificare il blocco dell’attività, intestata a Francesca Marzia Lesto, 29 anni, anche se il gestore di fatto era il padre.

La giovane era comunque indagata per fittizia intestazione di beni, aggravata dall’agevolazione di Cosa nostra. Il sequestro aveva riguardato anche le attività (non le mura, data l’estraneità a tutte le vicende dei proprietari degli immobili che le ospitano) di Villa Giuditta srl: oltre alla Villa Giuditta vera e propria c’era pure il Dancing di viale Piemonte, perché — secondo l’accusa — nella titolarità dell’azienda-madre ci sarebbero state cointeressenze di Michelangelo Tinnirello e dell’attuale pentito di Bagheria Antonino Zarcone.

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