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Parkour, l’arte dello spostamento: così la città si trasforma in palestra

Non è solo un’attività fisica, ma ha anche aspetti mentali profondi che permettono al praticante, chiamato traceur, di fare i conti con il proprio corpo, le sue paure e i suoi limiti, acquisendo fiducia

PALERMO. «Guardare il mondo con occhi diversi, trovare sempre un’opportunità per mettersi alla prova e dare sfogo alla propria creatività nel totale controllo del proprio corpo». Una definizione non canonica e a tratti poetica di quella che, in gergo, è conosciuta come «l’arte dello spostamento»: il parkour. Tutto nasce dalla mente di due giovani palermitani appassionati ed esperti della disciplina che, dopo anni di allenamenti all’aperto, hanno deciso di dare vita alla prima scuola di Parkour di Palermo. «Volevamo riunire tutti i ragazzi che praticavano il parkour in città – racconta Gaetano Columba, fondatore e istruttore insieme a Giulia Catalisano dell’Associazione Sportiva Dilettantistica UniParkour, affiliata alla Uisp -. Tutto è nato da un piccolo gruppo di amici che si divertiva allenandosi tra ville e parchi pubblici, supportandosi a vicenda e migliorando giorno dopo giorno. Intanto il gruppo cresceva anche numericamente e così abbiamo deciso che era tempo di creare qualcosa di concreto e legalmente riconosciuto. Si è arrivati così alla fondazione dell’associazione e, soprattutto, all’apertura di un vero e proprio centro per il parkour. L’idea è quella di diffondere il più possibile la disciplina e dare a tutti la possibilità di imparare e allenarsi in totale sicurezza».

Aperto ufficialmente nell’ottobre 2013, il centro si trova in via Laurana nei locali dell’Istituto tecnico industriale «Vittorio Emanuele III» e, a distanza di un anno, il bilancio che viene fuori è del tutto positivo. «Dai 15 iscritti con cui siamo partiti all’inizio di questa avventura – spiega Gaetano -, siamo arrivati oggi a quota 97 e quest’anno, nonostante le attività in palestra siano ricominciate soltanto da due settimane, contiamo già altri 40 nuovi soci». Si tratta per la maggior parte di ragazzi di età compresa tra i 12 e i 28 anni. Ma bisogna sfatare il mito che il parkour sia solo per uomini. A dimostrarlo è proprio il fatto che una delle fondatrici e istruttrici è una ragazza. Ma non solo. Anche se al momento rimane l’unica, tra i soci c’è anche un’allieva in palestra.

«Purtroppo si pensa che questa disciplina sia troppo dura e faticosa per le ragazze – aggiunge Gaetano -, ma speriamo di riuscire prima o poi a dimostrare che non è così. Il bello del parkour, infatti, è che esso non è semplicemente un’attività fisica, ma possiede aspetti mentali profondi che permettono il praticante, chiamato traceur, di fare i conti con il proprio corpo, le proprie paure e limiti. Non esistono competizioni e rivalità, ma tutti gli atleti si supportano e imparano gli uni dagli altri».

Da sfatare c’è anche il luogo comune che vuole il parkour un’attività rivolta a pochi. Seppur nel rispetto dei propri limiti, infatti, la disciplina può essere praticata da tutti. «Chiunque può migliorare la propria forma fisica, coordinazione ed efficienza nel movimento e prendersi le proprie soddisfazioni – continua l’insegnante -. Se svolta correttamente, inoltre, la pratica del parkour garantisce grandi benefici fisici. Per muoversi, infatti, si utilizzano tutte le parti del corpo e, di conseguenza, vengono allenati tutti i muscoli. Si sviluppa, inoltre, una grande capacità di coordinazione e di equilibrio e si scopre che il corpo umano può fare delle cose stupefacenti che si sono perse nel corso della nostra evoluzione».

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