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La casa di don Pino: la vita e l’esempio di padre Puglisi tra libri, foto, oggetti

L’abitazione dove il parroco di Brancaccio visse con i genitori dal 1969 potrà essere visitata da gruppi di fedeli di tutta Italia

PALERMO. Calpestare il marciapiedi su cui, steso per terra, sorrideva ancora al suo killer. E poi varcare il portoncino d'alluminio, salire le due rampe di scale, ritrovare la targhetta col suo nome affissa alla porta ed essere accolti nella sua casa. Sembra un viaggio a ritroso nella memoria di ciò che accadde nella vita di un sacerdote piccolo di statura, ma grande nella fede, che dopo la morte riesce a parlare ancora e tanto. È un'emozione strana quella che si prova entrando per la prima volta nella casa di don Pino Puglisi. C'è la gioia mesta dei familiari più stretti, che ritrovano dopo venti anni i loro ricordi più intimi tra quei poveri mobili e quei semplici arredi. C'è la commozione di chi ricorda i pomeriggi passati a parlare, a raccontare dubbi e problemi, ad essere ascoltato con pazienza su quei cuscini bordeaux del divanetto di famiglia. C'è la curiosità di chi non ha mai visto quelle stanze, di chi ha solo immaginato lunghi colloqui coi giovani, letture notturne con libri poggiati per terra, scatolette consumate in fretta sul tavolino della cucina per non togliere tempo agli impegni pastorali. E poi, basta uno sguardo sul comodino di una stanzetta semplice, coi mobili chiari e una coperta a scacchi sul lettino, per capire di che pasta era fatto «3P». Un libro usurato dal tempo, rattoppato nel dorso con un nastro di scotch grigio, già nel titolo dice tutto: Un prete scomodo di Domenico Mondrone, sulla storia di padre Pedro Poveda, fondatore dell'istituto delle Teresiane, appartenuto a don Pino dal 1962. Al capezzale un crocifisso stilizzato in ferro con due braccia lunghissime, sproporzionate, capaci di abbracciare tutto, il mondo intero. Ecco chi era Puglisi, proclamato beato esattamente un anno fa. Da ieri c'è un luogo in cui sarà più semplice scoprire la sua grandezza di uomo e di sacerdote.
Sembra che il tempo si sia fermato nell'appartamento al primo piano di piazzale Anita Garibaldi 5, a Palermo, dove don Pino Puglisi abitò dal 1969 coi genitori e davanti al quale fu barbaramente ucciso dalla mafia la sera del 15 settembre 1993. Ieri, primo anniversario della beatificazione, è stata inaugurata la casa-museo di padre Puglisi. Il Centro Padre Nostro onlus ha portato a termine il progetto accarezzato già da parecchio tempo e realizzato con l'acquisto della casa popolare in cui abitò la famiglia Puglisi. Quelle mura che tante storie potrebbero raccontare sono diventate una casa-museo aperta alla città e ai gruppi, che da tutta Italia vorranno venire a visitarla.
Un momento di preghiera nel piazzale davanti alla palazzina, animato dai gruppi Gospel Project e Holy Light. Poi la benedizione della casa e la visita nelle singole stanze, il racconto del passato e del futuro. Ci sono i fratelli Francesco e Gaetano Puglisi, con le mogli, i figli, i nipoti. Dopo anni di dolore, spunta finalmente un sorriso sulle loro labbra. «Tornare in questa casa è un'emozione grande. Ricordo ogni momento passato qui, con i miei cari e con mio fratello. È una gioia», ammette Francesco Puglisi, mentre rivede le foto della famiglia, la vetrina coi bicchieri della mamma, la libreria, la stanza di pranzo. «“Lo zio è di tutti”, mi dissero qualche tempo fa e io non capivo - confida la nipote Giuseppina Puglisi -. Ora capisco e sono contenta che tutti possano scoprirlo. Qui dentro ci sono momenti stupendi della mia vita. Mi ricordo quando da piccola facevo arrabbiare la nonna, perché andavo a disturbare lo zio che leggeva. Allora mi nascondevo sotto il tavolo. È bello adesso condividere lui con gli altri».
C'è il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando: «Don Pino unisce. Anche una casa può diventare un museo, un numero civico può diventare un altare. Ma questa sarà una casa viva e vera. L'auspicio è che anche Palermo diventi come questa casa». Ci sono i parroci di San Gaetano a Brancaccio, che hanno preso il posto di Puglisi: don Mario Golesano prima, don Maurizio Francoforte poi. Benedicono a turno i luoghi della memoria e pensano al futuro. Il vicario di zona, monsignor Giovanni Oliva, scuote tutti dicendo: «Don Pino era un prete “insignificante”, non era un prete delle cronache, che cercava la prima pagina. Lavorava con perseveranza, perché si era innamorato di Cristo». Suor Enrica Giovannini, provinciale delle Maestre Pie Venerini, comincia a mettere le basi per una presenza della loro comunità a Brancaccio. E Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro onlus, offre una chiave di lettura della casa-museo: «La casa del beato Giuseppe Puglisi, nel suo insieme, che diviene tutt'uno con il piazzale, luogo del suo martirio, è il luogo dell'incontro, dove crescere nella fede e nella sollecitudine verso i poveri».


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