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Si è spento Armando Vaccarella

Il giornalista, 73 anni, è stato caporedattore del Giornale di Sicilia negli anni novanta. Per molti anni seguì la politica comunale del capoluogo

PALERMO. Da Gioia a Ciancimino, da Lima ad Orlando, passando per Martellucci, Insalaco, Mattarella. Per un quarto di secolo Armando Vaccarella li ha visti da vicino, li ha raccontati, ha cercato di spiegare il potere siciliano, in particolare quello palermitano, ai lettori del Giornale di Sicilia. Con un linguaggio semplice ed essenziale, ma mai banale, nemico giurato del politichese per gli addetti ai lavori. Se ne è andato ieri a 73 anni, dopo una lunga malattia. Nel 1995 aveva deciso di lasciare la sua scrivania di capo redattore in via Lincoln a soli 58 anni. La retorica vuole che i giornalisti che ci lasciano siano tutti cronisti anche se nella loro vita non hanno mai trovato una notizia. Ma Vaccarella per anni cronista lo è stato davvero, così esperto e sornione che talvolta erano i politici a chiedere notizie a lui. Conosceva i corridoi di Palazzo delle Aquile come le sue tasche, sapeva quali erano le fonti affidabili e i venditori di fumo, tanto che non ha mai ricevuto una sola lettera di precisazione o rettifica in tutta la vita. E non erano anni facili. Mancavano Internet ed i copia-incolla, per avere un archivio bisognava lavorare di buste, ritagli, e soprattutto memoria. Dovevi conoscere la città ed i suoi personaggi, non c’erano telefonini ma solo telefoni. Bisognava sapere quando chiamare, dove, e soprattutto chi. E c’era la mafia, certamente più forte e invadente di adesso, annidata in ogni angolo del Palazzo, che poteva avere il volto mellifluo di un assessore, o feroce del sicario che ti aspetta sotto casa, come successe a Mario Francese.
Da cronista di bianca a capo della cronaca di Palermo, poi responsabile della regionale, incarico che ha mantenuto fino alla pensione. Ha seguito e raccontato i delitti eccellenti palermitani (Mattarella, La Torre, Insalaco, Reina), e da dirigente, ha coordinato i servizi nei difficili giorni delle stragi Falcone e Borsellino. E poi le crisi politiche, i giochi di palazzo, le innumerevoli elezioni comunali e regionali, intervistando candidati eletti e trombati, presidenti e «presidentissimi», sempre con quell’ironia sottotraccia e la battuta felpata che però colpiva come un dardo. «Con la sua morte scompare un maestro di giornalismo», dice il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone.
Su Vaccarella esiste un’aneddotica sterminata, ma forse questa non è la sede più appropriata per ricordarla tutta. Ci si può limitare a dire che era probabilmente il mangiatore più straordinario di caramelle alla carrubba e al caffè, consumate in genere dopo pranzi pantagruelici ad altissimo tasso di colesterolo. Nella sua stanza già nel primo pomeriggio c’era la nebbia fitta prodotta da una mezza dozzina di pacchetti di MS. Burbero, dalla «cazziata» facile, il classico capo redattore di lungo corso a cui piaceva la fama che lo circondava e, in fondo, anche le battute che si facevano su di lui, quando non c’era lui. Di formazione repubblicana, è stato segretario dell’Associazione siciliana della stampa e consigliere nazionale del sindacato giornalisti, fu lui scrivere sulla prima pagina del Giornale di Sicilia del 10 gennaio 1991 la notizia che un certo Libero Grassi (suo amico) aveva detto no al racket, denunciando il famigerato «geometra Anzalone» che gli chiedeva il pizzo. E fu lui del resto a ricevere la celebre lettera firmata dall’imprenditore.
I funerali domani mattina alle 9,30 nella chiesa di Gesù, Maria e Giuseppe di via Sacra Famiglia, nel rione Resuttana. Ai familiari le condoglianze di tutto il Giornale di Sicilia.

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