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'Vola' la Butterfly e conquista il Massimo di Palermo

Dopo un inizio poco travolgente, colpa di un risultato sonoro non proprio impeccabile, in alcuni passaggi la musica sembrava predominare sulla voce dei cantanti; dal secondo atto in poi la Madama Butterfly cresce, soprattutto grazie all'interpretazione di Daniela Dessì, che è stata 'Butterfly' da Occidente a Oriente, calcando con successo i palchi dei maggiori teatri internazionali. È infatti il soprano genovese a dominare la scena, indossando con impeccabile eleganza, sia vocale che scenica, il ruolo della giovane e ingenua geisha che si lascia sedurre dal tenente americano, e, pian piano, in quell'attesa lunga 'tre nidiate del pettirosso' si trasforma, cesellata dalla delusione, in donna adulta e cosciente della grande illusione da cui si è lasciata consumare. La Dessì trascina il pubblico con quella forza emotiva che è propria dell'eroina pucciniana, coinvolgendolo nella tensione che matura sulla scena. Eroina sì, perché in quella dualità di amore e morte, a Puccini così cara, che trova il suo emblema nell'atto dell'uccisione 'con onore', secondo la tradizione dell'harakiri, che Cio-Cio-San mostra il proprio femmineo coraggio: la morte diventa sacrificio, l'ultimo estremo atto di amore per il figlio e per se stessa. La Madama Butterfly incanta il Teatro Massimo, che riapre la stagione autunnale con una delle più celebri opere del repertorio italiano, e accoglie con applausi, anche a scena aperta, l'interpretazione di Daniela Dessì, ma anche degli altri protagonisti: il tenore Roberto Aronica nel ruolo di Pinkerton, il baritono Alberto Mastromarino in quello del console Sharpless, e la bravissima Giovanna Lanza nel ruolo della servente Suzuki. L'allestimento è quello storico del regista, scenografo e costumista, Beni Montresor, firmato nel 1996 per il Teatro Carlo Felice di Genova, e adesso ripreso dalla regia dall'allievo Andrea Cigni. Un'opera rivisitata, lo stesso Giacomo Puccini la modificò soprattutto dopo il fiasco della prima milanese al Teatro alla Scala, il 17 febbraio 1904, dividendola in tre atti dagli originali due. La rilettura di Montresor, infatti, ha tratteggiato una Butterfly più occidentale con rimandi essenziali al simbolismo giapponese attraverso alcuni oggetti di scena, pochi, poiché il celebre allestimento è infatti minimalista: un tavolinetto, alcuni cuscini e paraventi, la sagoma di una casa giapponese, un piccolo altare con un Buddha per le preghiere della fedele Suzuki, e i rami di pesco che da simbolo d'amore divengono, nell'atto conclusivo, la cornice funerea che accoglie il suicidio di Butterfly. Le luci sono l'affondo perfetto, soprattutto quando riempiono la sala sospendendola in un pacata armonia di colori, seguono la tensione degli attori, sfumano, esaltano, coinvolgono, soprattutto nel finale quando il teatro sembra affogare nel sangue di Butterfly. I laterali a specchio talvolta riflettono i corpi distorti degli attori, della accorata Suzuki, preoccupata per le sorti della giovane padrona, ripudiata dalla vita, ma soprattutto dall'amore. L'intimità della narrazione è affidata anche al calare sul fondo della scena di un grande telo bianco, su cui si riflettono talvolta delle linee fluttuanti, come se il regista intendesse stringere il pubblico al sentire di Cio-Cio-San, soprattutto nel tragico epilogo con un effetto caduta che si mescola alla musica, e fa sprofondare il pubblico sino alle radici del dramma. Repliche sino al 25 settembre.

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