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Emergenza rapine a Palermo, parla una donna: "Sequestrata in gioielleria"

Vincenza Aiovalasit, 61 anni, è la titolare della gioielleria Lo Verde di via Archimede, maltratta insieme con una cliente da tre banditi giovedì all’ora di chiusura per il pranzo, racconta la sua terribile esperienza

PALERMO. «Cosa vuole che le racconti? Bisogna passarci per capire con quale forza ti arriva il colpo e ti resta addosso». Vincenza Aiovalasit, 61 anni, è la titolare della gioielleria Lo Verde di via Archimede, rapinata, maltrattata e sequestrata insieme con una cliente da tre banditi giovedì all’ora di chiusura per il pranzo.

«Ce ne stavamo andando – racconta – ma c’era una cliente che stava guardando un poco di bigiotteria perché doveva fare un regalo. A questo punto sono entrati. Erano tre, abbastanza giovani ma non giovanissimi. Io, parola mia, non ho avuto nessun pensiero. Tre persone che entrano nel negozio. Che pensieri dovevo avere?» La zona non pare tra quelle particolarmente colpite dalla piaga delle rapine. «Non era successo mai niente – racconta la signora Aiovalasit – Qui non siamo abituati a queste cose. Ci sono molte gioiellerie e un mare di commercianti di oro. E, almeno a memoria mia che sono qui da tantissimi anni, non era mai successo niente. Poi, improvvisamente, no una, ma addirittura due rapine perché ho sentito che ne hanno fatta un’altra pure da Giglio in via Libertà. Insomma non ho avuto alcun sospetto e ho continuato a parlare con la cliente».

Ma i tre si sono subito manifestati. Uno ha chiuso la porta, un altro ha urlato: «Dammi l’incasso» e ha spostato un lembo della giacca per mostrare una pistola. «Che ne posso sapere – dice adesso la commerciante – se era vera oppure finta? A parte il fatto che appena ho capito di cosa si trattava la paura mi ha paralizzato. È una cosa terribile, davvero terribile». Il film della rapina non segue il copione classico: minaccia, rastrellamento del bottino, fuga. No. Evidentemente i tre rapinatori hanno scelto l’orario di chiusura per potere muoversi tranquillamente. La donna però resiste e volano un
po’ di spintoni, forse qualche calcio. «Ci hanno strattonate, prese a spintoni e portate in fondo al negozio dove ci hanno fatto sedere su due poltroncine – racconta Vincenza Aiovalasit – Ci hanno legato i polsi ai braccioli delle seggiole e poi ci hanno tappato la bocca col nastro adesivo. Poi si sono messi a ripulire le vetrine».

I banditi, a quanto sembra, hanno preso, oltre all’incasso della giornata, alcuni oggetti preziosi ma hanno trascurato la bigiotteria. «Il valore delle cose rubate – dice la signora Vincenza – ancora non lo possiamo precisare. Bisogna fare l’inventario e tutto il resto».
E le telecamere di sorveglianza? Erano in funzione? Interviene il figlio Giuseppe Lo Verde: «Ascolti, c’è l’inchiesta in corso e noi non sappiamo quello che si può dire e quello che non si può dire per non correre il rischio, anche senza volerlo, di pregiudicare le indagini». Di certo c’è che i tre banditi hanno messo insieme il bottino e se ne sono
andati uscendo dal negozio come tre clienti qualsiasi, tirandosi dietro la porta d’ingresso. Erano le 13,15 passate, un orario in cui, di solito, la gioielleria è chiusa per la pausa pranzo. Nessuno dunque poteva sospettare che dentro ci fossero le due donne legate nel retrobottega. Ma Vincenza Aiovalasit, una signora magra coi capelli grigi e il viso sottile, ha dimostrato una forte presenza di spirito e, non appena i banditi si sono allontanati, ha cominciato a tentare di liberarsi.

«Erano appena usciti e ho cominciato a muovere le braccia nel tentativo di allentare i legacci. Ho visto che ci riuscivo e ho continuato per un po’ fin quando non sono riuscita a liberare una mano. Così ho potuto liberare pure la mia cliente e dare l’allarme». Il «colpo» è durato pochi minuti, una quindicina i minuti impiegati dalla signora Vincenza per liberarsi. Ma ci vorranno anni per cancellare dalla sua memoria questi attimi di terrore. Continuerà a occuparsi di gioielli: «È il mio mestiere e adesso devo smaltire lo choc. Poi
se ne parla».

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